Da "Zero in Condotta" n°92, 14 ottobre '99,

LA CONDANNA A MORTE DI MARCO DIMITRI

Fino a dove può spingersi la persecuzione giudiziaria?

 

Abbiamo incontrato Marco Dimitri la settimana scorsa, prima che venisse nuovamente iscritto nel registro degli indagati e prima dell'ennesima perquisizione, avvenuta il 7 ottobre. Era il fantasma di se stesso: pallido, magrissimo, tremava come una foglia. La notizia che era stata fissata la data dell'appello al processo Bambini di Satana per la metà di gennaio gli aveva fatto tornare su tutti i peggiori ricordi e sensazioni dell'esperienza che ha dovuto passare tra il '96 e il '97. Abbiamo cercato di tranquillizzarlo, dicendogli che non si sarebbe trovato da solo, che lo avremmo aiutato a ricordare alla gente quello che aveva dovuto subire durante l'inchiesta del Sostituto Procuratore Lucia Musti: accuse infamanti, un anno di carcere preventivo, il linciaggio della stampa, le botte dei secondini. È difficile tirare su uno che vive senza alcuna prospettiva, con marchiata nel cervello la consapevolezza che potrebbero venire a prenderlo in ogni momento, per chissà quale fantomatico crimine, come è già successo una volta. Come fai a sollevare il morale di uno ridotto così? Come fai a non pensare che ormai non è forse più questione di guai giudiziari, che si è andati oltre, che si è annullata una persona, riducendola così, com'è Marco adesso? Che forse dovresti preoccuparti solo di evitare l'irreparabile, il gesto estremo? Devi costringerti a non vederlo né come un caso umano né come una vittima inerme schiacciata dalla macchina giudiziaria, perché il patetismo e il vittimismo non ti sono mai appartenuti; devi isolare la questione "politica", quello che il suo caso rappresenta, anche alla luce di fatti più recenti, e andare avanti. Ma la sensazione è quella di trovarsi di fronte a una condanna a morte "di fatto", una persecuzione giudiziaria che dura da quasi dieci anni e che non vede una fine, costantemente irrorata dagli sproloqui e dalle "rivelazioni" di supertesti, di superpentiti, di ogni matto scoppiato che voglia avvalorare le proprie dichiarazioni citando un nome noto ai magistrati. Marco Dimitri è il satanista più "famoso" d'Italia, un nome che tutti ricordano e che tutti pronunciano: "Proprio così signor giudice... e c'era anche Dimitri". Ed eccoci davanti all'ennesima perquisizione, all'ennesima pentita, all'ennesima inchiesta aperta a carico di Marco. Eccoci qui, a casa sua, per intervistarlo. È più rilassato dall'ultima volta che lo abbiamo visto, ma è una tranquillità artificiale, perché dopo un anno ha ricominciato a prendere il tavor. I fatti su cui si indaga - questa volta a Roma - sono i soliti: stupri rituali, orge, messe nere, galline sgozzate e plagio di adepti per spillare centinaia di milioni. In particolare Dimitri è indagato per i reati di usura e truffa: record del paradosso, visto che è pressoché alla fame. Il magistrato si chiama Francesco Polino. Di lui non sappiamo niente, ma un indizio sul suo acume professionale già ce l'abbiamo: dei sei indagati (tra cui Dimitri), uno è deceduto tre anni fa. Al processo contro i Bambini di Satana si era arrivati a parlare di una "donna lupo"... i fantasmi ancora ci mancavano!

 

LB. Come si è svolta la perquisizione e come è stata motivata dalle forze di Pubblica Sicurezza?

MD. Gli agenti hanno bussato alla porta alle nove di mattina e mi hanno mostrato l'atto del magistrato in cui sono contemplati il reato di stupro, maltrattamenti ad animali, associazione a delinquere finalizzata alla truffa. I fatti si sarebbero svolti a Roma e sono stati riportati anche dal "Messaggero". Oltre a me sono implicate altre cinque persone, tra cui Sergio Gatti, in arte Efrem del Gatto, che per altro è morto da tre anni. Ho chiesto agli agenti se cercavano cose particolari. Delle videoregistrazioni, hanno detto. Hanno guardato tre videocassette. Nell'ingresso di casa ne ho altre cento, ma non le hanno degnate di uno sguardo. Hanno sequestrato le tre videocassette, il mio computer portatile, quello da tavolo no, non so perché, forse pesava troppo, alcune foto della Musti che usavo per i fotomontaggi su "Caffeina", una foto di Spinosa, poi mi hanno chiesto se avevo droga e ovviamente ho detto di no. Non vedo come queste cose possano centrare con i fatti di Roma. Siamo andati in questura, hanno fatto l'elenco delle cose sequestrate, poi hanno deciso che bisognava tornare a casa mia, perché il magistrato di Roma aveva espressamente chiesto che prendessero una tonaca rossa e un cappuccio, più qualche oggetto rituale. Quindi sono tornati qui a prendere questa roba. Io possiedo due teschi di coccio, mi hanno chiesto quale preferivo che prendessero e se lo sono portato via, insieme a un candelabro in ferro battuto, che avevo comprato al mercatino di Santa Lucia.

LB. Avevi avuto in precedenza dei sospetti sul fatto che stessero per coinvolgerti in una nuova inchiesta?

MD. La teste di questa nuova inchiesta è una persona che ho conosciuto dieci anni fa e da allora non l'ho più rivista. Si chiama Patrizia Silvestri e insieme al suo amante si era iscritta ai Bambini di Satana una decina di anni fa. Erano stati espulsi in seguito a dei comportamenti che ritenevo scorretti. La lettera con cui notificavo l'espulsione è agli atti del precedente processo che ho subito. Poi ho saputo che nei primi anni '90 la Silvestri e il suo compagno Walter Mita avevano fondato gli Eletti di Satana ed erano attivi a Roma. L'ho sentita nominare di nuovo durante il mio processo, quando il PM Lucia Musti citò la Silvestri come teste a carico, ma lei non si è mai presentata in aula. Qualche mese fa mi è arrivato un avviso di garanzia dal tribunale di Velletri in seguito a una denuncia per minacce telefoniche che io avrei fatto alla Silvestri, tra l'altro su un'utenza che è risultata inesistente. Anche in quell'occasione comunque la Silvestri non si è presentata in aula. Una settimana fa la Silvestri mi ha telefonato ed era la prima volta che la sentivo dopo quasi dieci anni. Mi ha chiesto alcune informazioni, se vivevo ancora con la stessa persona, se mi dedicavo ancora all'esoterismo, eccetera. Non potevo immaginare che stesse raccogliendo informazioni per denunciarmi. Quando le ho chiesto di spiegarmi perché aveva sporto denuncia contro di me per telefonate minatorie che non le ho mai fatto, ha detto di non saperne niente. E poi mi arriva la perquisizione a casa e vengo a sapere che questa tipa mi ha tirato in mezzo in una storia di stupri e altro, dalle parti di Roma. Due giorni prima avevo letto in Internet due articoli del Messaggero su questa storia che parlavano di stupri rituali, di un giro di miliardi, eccetera e anche del coinvolgimento di un "gruppo del nord Italia, il cui capo è un famoso personaggio nell'ambiente dei cappucci neri, già finito nel mirino degli inquirenti alcuni anni fa". Ho capito che mi avrebbero preso in mezzo un'altra volta.

LB. Da quanto tempo non vai a Roma?

MD. Sono sceso un giorno solo, a trovare un mio amico, il giorno prima che mi arrestassero, nel '96. Da allora non ci ho più messo piede, anche perché non ne ho più avuto la possibilità economica.

LB. Qual è la tua situazione finanziaria e lavorativa da quando sei stato assolto dalla prima inchiesta?

MD. Anche se la gente sa che mi hanno assolto, se chiedo un lavoro trovano delle scuse o temporeggiano. Sono impossibilitato a trovare una fonte di sopravvivenza.

LB. Come fai a campare adesso?

MD. Mi aiutano un po' gli amici. E comunque rischio di finire in mezzo alla strada perché sono in arretrato con l'affitto per tutti i mesi che sono stato in galera. C'è una vertenza aperta con lo IACP, che è proprietario del mio appartamento.

LB. Qual è la tua situazione psicologica da quando ti hanno assolto?

MD. Un anno di carcere non te lo dimentichi, non passa dalla testa. Continuo a sognarmi d'essere in galera. È un sogno che ritorna, giro per il carcere e non so perché sono lì. Conseguenze fisiche: tremo come un drogato in continuazione, sono costretto a ricorrere ad ansiolitici per calmarmi e per dormire, i nervi sono a pezzi. Ma le cose che sono successe non devono farci smettere di lottare.

LB. Cosa pensi di fare alla luce di questa nuova indagine a tuo carico?

MD. Cercherò di dare la maggiore informazione possibile su questi atti criminali che stanno succedendo ai nostri danni. È dal 90 che ci perseguitano. Ho subito sei o sette perquisizioni, in cui non è mai stato trovato niente di illegale. C'è sempre qualche matta che mi tira in mezzo a un'inchiesta. Prima la Dozza, poi la Ferrari e adesso la Silvestri. Ma il fatto è che dietro ci sono dei magistrati che spingono a criminalizzare me, sono diventato il delinquente per eccellenza.

LB. I Bambini di Satana e tutta la loro attività di informazione e di pratica esoterica continuano normalmente?

MD. Sì. E queste vessazioni ci spingono a proseguire ancora di più. La nostra è un'attività informativa e a tutela della libertà umana, della libertà di espressione contro la repressione clericale e cattolica.

LB. Secondo te la questione riguarda soltanto chi frequenta l'ambiente dell'esoterismo?

MD. No. È una questione di principio. Ma con il Giubileo alle porte probabilmente stanno cercando dei casi eclatanti da sbattere sul giornale. E tornano a prendermi in mezzo.

 


Da "Zero in Condotta" n°92, 14 ottobre '99,

TUTTI I NOMI

Perché le pagine più grottesche della recente storia giudiziaria bolognese vengono scritte sempre dalle stesse persone?

 

Quando i fratelli Savi confessarono di essere la famigerata "banda della Uno bianca", rivendicando e ricostruendo i crimini compiuti nel corso di anni, i magistrati che nel frattempo avevano imboccato piste cieche o comunque ridicolmente svianti dalla verità dovettero subire un brutto colpo. Si era indagato in direzione dell'eversione nera e della malavita organizzata, si erano inquisite persone, messa dentro della gente, e poi è saltato fuori che i killer erano lì sotto il naso delle autorità di pubblica sicurezza e dei magistrati: in questura. Allora non soltanto non si trovò un magistrato locale disposto ad aprire un'inchiesta che spiegasse come e perché nessuno si fosse accorto di niente a Piazza Roosevelt, ma nemmeno ci si premunì di mandare immediatamente liberi i precedenti indagati, nella fattispecie, per la strage del Pilastro, i famigerati fratelli Santagata, i quali continuarono la villeggiatura nelle patrie galere ancora per un po' di tempo. Dato che non erano stati i Santagata ad ammazzare i tre carabinieri al Pilastro, se ne deduce che non potevano esistere prove che li "inchiodassero", ma che si trattava di un arresto più che altro "precauzionale" o forse stabilito "per esclusione". Ragione di più per mandare liberi gli imputati. Conduceva l'indagine sui Santagata il sostituto procuratore Spinosa, coadiuvato dalla collega Musti.

Che gli anni Novanta si siano aperti con una scandalosa figura da parte delle forze dell'ordine e della magistratura bolognese è un fatto che è già passato alla storia. Ma a parte la vicenda della Uno bianca, se si tirano le somme di quanto è successo dopo, c'è da mettersi le mani nei capelli.

Certo rispetto ai poliziotti killer sembra tutta roba da poco, ma sarà poi veramente così?

Vengono in mente alcuni esempi più clamorosamente grotteschi, per non dire ridicoli (visto che ne va della libertà e della vita delle persone).

Il caso "Bambini di Satana", per cominciare. Tre innocenti trattenuti per un anno alla Dozza sulla base di una supposta pericolosità sociale, confermata dal GIP Grazia Nart, senza che il magistrato inquirente abbia mai prodotto alcuna prova a carico degli imputati. Non una prova concreta che i reati di cui li si accusava fossero stati compiuti. E infatti il processo ha poi dimostrato che quei reati non sono mai esistiti, se non nella fantasia di una ragazzina psicolabile, scelta dal PM come "superteste". Il magistrato in questione era la dottoressa Lucia Musti, sostenuta dal Procuratore Persico.

Non paga della irrimediabile figuraccia raccolta e di una sentenza di assoluzione di 800 pagine che smonta da capo a piedi l'impianto accusatorio, la dottoressa Musti è ricorsa in appello. La prima seduta è prevista per il gennaio 2000: a quella data la persecuzione a danno degli imputati avrà compiuto cinque anni.

Poi ci si ricorda delle inchieste "politiche". Due tra tutte: quella sugli squatters asserragliati sul tetto di una casa in via dei Poeti. Quattro scalzacani spaccamaroni dipinti come dei pericolosi fuorilegge e caricati di denunce; e il più recente caso degli immigrati di San Petronio. La tesi del magistrato Gustapane, che si è occupato di entrambe le inchieste, è che un filo rosso colleghi tutte le occupazioni bolognesi degli ultimi anni, che vi sia un unico piano eversivo che attenta all'ordine pubblico. Vecchie paranoie dietrologiche che si ripresentano dopo vent'anni in forma di farsa: gruppuscoli di poche decine di persone indicati come abili manovratori del malessere sociale contro le istituzioni. Il caso di San Petronio poi è particolarmente ridicolo, perché la tesi dichiarata dal magistrato è quella di collegare l'occupazione della basilica, il successivo trasferimento delle famiglie immigrate in via del Pallone, lo sgombero e infine l'occupazione dello stabile abbandonato di via Altura, come il frutto di un solo disegno criminale. C'è un piccolo particolare: durante i vari passaggi a cui quelle famiglie sono state costrette, i gruppi politici e le associazioni che le hanno affiancate nella lotta per la casa sono cambiati! E questo è avvenuto alla luce del sole, in pubbliche assemblee e con comunicati stampa ai giornali.

Dulcis in fundo. Paolo e Giorgio Pancaldi, consiglieri di quartiere di Rifondazione Comunista, antiproibizionisti dichiarati e militanti, che vengono arrestati per detenzione e "spaccio" (sic!) di stupefacenti. Le mosse delle forze di pubblica sicurezza sono però goffe e inesperte: sinceramente la versione fornita dagli agenti di polizia, secondo cui sono arrivati all'appartamento dei Pancaldi (proprio quello!) inseguendo un ladro arrampicatore, sembra uscita da un telefilm di serie Z. Il fatto è che per fare irruzione in un appartamento, le forze di PS hanno ancora bisogno di un mandato con la firma di un magistrato, e per questo serve una denuncia o una deposizione formale. Se non c'è una denuncia, ma ad esempio solo una delazione ufficiosa, allora bisogna inventarsi qualcosa... e mettere il magistrato davanti al fatto compiuto. Vedete un po' quale delle due ipotesi è più verosimile. Fatto sta che invece di essere denunciati a piede libero, come sempre accade per il tipo di reati contestati, i Pancaldi sono stati portati alla Dozza e lì trattenuti per tre giorni. Un passo indietro nella storia della prassi giuridica di almeno dieci anni. Il magistrato responsabile questa volta è Spinosa.

Probabilmente non ci dovremmo stupire più di niente. Probabilmente dopo la Uno bianca è tutta acqua fresca, soprattutto se si tiene conto del fatto che i fattacci dei primi anni Novanta non hanno portato a nessuna epurazione dentro la questura bolognese, né a inchieste da parte della magistratura.

Probabilmente quando uno dei capi spirituali della magistratura italiana come Luciano Violante se ne esce con un'enormità del tipo: "La sicurezza viene prima della giustizia" (vorrei ricordare a Violante che senza ombra di dubbio i paesi più sicuri del mondo sono le dittature), c'è da pensare che le colpe e le responsabilità sono estese, coinvolgono tutta la magistratura italiana, e ancor più l'intera in-cultura giuridica di questo paese dei balocchi. Eppure l'inciviltà giuridico-giudiziaria italiana non può in alcun modo giustificare gli abusi di singoli magistrati, che ad ogni nuovo ciclo emergenziale (pedofilia, satanismo, immigrazione, microcriminalità, ecc.) sono pronti ad autoproclamarsi paladini dell'ordine pubblico e in nome di questo a passare sui più elementari diritti civili. Non è possibile mantenere il dibattito soltanto su un piano politico generale. Ci sono carriere personali che su certe nefandezze giudiziarie e giuridiche si costruiscono: devono poterci essere carriere che su certe negligenze, irresponsabilità o accanimenti, vengono arrestate.

È ora che qualcuno cominci a fare i nomi.

Luther Blissett

 


Comunicato stampa

LASCIATE IN PACE MARCO DIMITRI!

Dalla tortura psicologica all'intimidazione

Dopo la nuova mobilitazione di "Zero in condotta", del consigliere comunale di RC Valerio Monteventi e del Luther Blissett Project in difesa di Marco Dimitri (per l'ennesima volta coinvolto in un'inchiesta "anti-satanista" dalle strampalate dichiarazioni di una mitomane) è arrivata la grave pressione intimidatoria ai suoi danni da parte delle forze dell'ordine. Trascinato in questura con un pretesto, chiuso in una stanza, minacciato e intimidito. Il messaggio è stato chiaro: non provare a farti difendere da qualcuno pubblicamente o a mettere in piazza la tua vicenda. Insomma Dimitri dovrebbe restare zitto mentre gli sequestrano tutto, anche il computer con cui lavorava e trasmetteva alle agenzie di stampa i suoi comunicati; mentre lo accusano e lo calunniano sulle pagine dei quotidiani romani; mentre la storia letteralmente "si ripete"...

Resoconto dei fatti:

Sabato 16 ottobre 1999, alle ore 12.00 Marco Dimitri ha ricevuto una telefonata dalla Questura di Bologna. Gli è stato detto che avrebbe dovuto passare entro le ore 13.00 negli uffici della Squadra Mobile per ritirare un CD-rom requisitogli durante la perquisizione del 7 ottobre. Dimitri è subito sceso dal suo appartamento e sul portone del condominio è stato fermato da due agenti in borghese della Squadra Mobile, identificatisi con il tesserino. Gli hanno detto che lo avrebbero accompagnato loro in Questura. Lo hanno fatto salire in macchina, conducendolo in Questura. Lo hanno fatto accomodare in una stanza da solo. Dopo circa dieci minuti sono entrati quattro agenti in borghese, che si sono presentati come appartenenti alla Squadra Mobile di Roma. Hanno circondato Dimitri e hanno cominciato a rivolgergli delle domande. Con atteggiamento intimidatorio gli hanno chiesto se aveva paura, gli hanno chiesto la password del computer portatile precedentemente sequestratogli, Dimitri glie l'ha detta, ha chiesto cosa stesse succedendo e in risposta gli è stata appioppata una sberla, seguita da alcune domande: - Su chi indagate voi? Cosa sono quei comunicati ai giornali? Che ci fai con Rifondazione Comunista? Chi è Luther Blissett? Dicci i nomi". Dimitri ha risposto che Luther Blissett è uno pseudonimo multiplo, che è tutti e nessuno. Gli hanno chiesto cosa vuol dire uno pseudonimo multiplo e lui ha spiegato che si tratta di una pratica adottata da alcune persone per fare controinformazione. Dopo circa una mezz'ora Dimitri è stato ricondotto a casa sua dagli stessi quattro agenti, i quali hanno compiuto una perquisizione, devastandogli l'appartamento. Lo hanno costretto a spogliarsi completamente. Di fronte alle proteste di Dimitri, gli è stato risposto che lui e il suo gruppo dovevano smettere di fare certe cose, che dovevano comportarsi come la gente comune. Hanno sequestrato un fascicolo contenente poesie di Dimitri, quattro tonache, tutti i numeri di "Kaffeina", un teschio di capra, candele con cera liquida, calici, una scatola contenente pergamene e tutta l'attrezzatura rituale, il computer da tavolo, gli articoli di giornale e le foto che erano attaccati al muro, e cinquantadue foto artistiche, la bandiera col logo dei Bambini di Satana. Tutto materiale già sequestrato nell'inchiesta del '96-'97. Hanno suggellato la perquisizione dicendo che sequestrandogli tutto Dimitri avrebbe smesso di "fare certe cose". Dopodiché lo hanno ricondotto in Questura, nella stessa stanza, dove ha aspettato un paio d'ore, prima che gli venissero consegnati il mandato di perquisizione firmato dal PM di Roma Francesco Polino e il verbale di perquisizione firmato dai quattro agenti della Mobile di Roma. Poi, alle 19.00 circa, lo hanno lasciato andare.

Luther Blissett, + Zero in condotta