Da "L'indice dei libri" n.7/8, anno XVI, luglio/agosto 1999, un articolato saggio letterario/politico su Q (libro del mese), che ha un inizio difficoltoso ma poi riserva non poche sorprese (tra l'altro, la giusta attribuzione di Q non solo ai quattro autori, bensì all'intero universo comunicazionale definito dall'uso del nome multiplo.
C'è anche una recensione di *Nemici dello Stato* (presentato, a ragione, come necessaria lettura complementare a Q), che riceverete col messaggio successivo.
Siamo già alla meta-recensione, cioè alla recensione dell'impatto che Q sta avendo sulla cultura italiana, e alla critica delle altre recensioni (anche il nuovo numero di *Pulp* ospita una simile operazione: un cut-up di recensioni - dissimulato e spacciato per recensione di tale "Giovanni Mescola" e una presa di distanza (firmata "Luther Arkwright") da quanti non hanno colto lo spessore politico-pop del romanzo. Tutto questo prossimamente.

 


IPOCALITTICI O INTEGRATI

Romanzo a chiave di un falsario collettivo con ambizioni di conflitto sociale

 

di Andrea Cortellessa

Luther Blissett, *Q*
pp. 651, lit. 26.000
Einaudi, Torino 1999

Rispetto alla sua tradizione, nel tempo del postmoderno il romanzo storico ha per lo più adottato, nei confronti dei materiali documentari a sua disposizione, una strategia di tipo *indiziario* (per una lettura in questa chiave di altre forme narrative, da Ellroy a Garton Ash, si veda il saggio di Nicola Gardini in "Linea d'ombra", 1999, p.2): i dati della storia "reale", manipolati e tendenzialmente sovrainterpretati, esplorano buchi neri nella cosmogonia dell'esistente, pieghe rivelatrici nel tessuto della storia, ramificazioni potate dall'energia semplificatoria dei vincitori. Tracce di una storia *alternativa* restata allo stato larvale, ipotetico, potenziale.

Uno sguardo *archeologico*, come lo si definisce a partire dal '66 (da quando cioè Michel Foucault dava alle stampe *Le parole e le cose*). Un'ipotesi che affascinò da subito la cultura letteraria ma che soprattutto nutrì storici "d'avanguardia"; tra cui uno dei collaboratori di "Ali Babà" (la rivista progettata da Celati e Calvino tra il '68 e il '72; cfr. il n.14 di "Riga", presentato sull'"Indice", 1998, n.10), Carlo Ginzburg, che allora proseguiva le ricerche di Cantimori sugli ambienti della Riforma italiana nella metà del Cinquecento. Nel '70 usciva un ricco saggio sul *Nicodemismo* (nel quale, alle pagine 175 e seguenti, è riportata una delazione chiamante a correo un tale Ticiano o Tiziano che avrebbe tentato di convertire alla dottrina anabattista il cardinale Del Monte poco prima che questi salisse al soglio pontificio col nome di Giulio III, delazione che, per il futuro autore di *Spie. Radici di un paradigma indiziario*, proverebbe un'ampia diffusione del fenomeno nicodemistico); nel '71, insieme ad Adriano Prosperi, Ginzburg animava un seminario sul *Beneficio di Cristo* (testo religioso di controversa origine, per il cui autore imprigionato era giunta a sorpresa un'interecessione proprio da parte del Cardinale Del Monte...). Infine, nel '75, Ginzburg e Prosperi firmavano a quattro mani *Giochi di pazienza* (Einaudi), in cui si raccontavano le disavventure affrontate da questa ricerca; le discussioni metodologiche, le false piste, il ruolo giocato dal caso, le tentazioni di attualizzazione... Un testo, nella sostanza, già *narrativo*.

Ed è proprio questo il bacino di coltura della prima prova "narrativa" di "Luther Blissett": la rivolta contadina repressa nel sangue, gli ultimi anabattisti superstiti ridotti alla clandestinità, le operazioni di polizia segreta della Chiesa e quelle di controinformazione e sabotaggio da parte dei suoi nemici, il rocambolesco tentativo di conversione del futuro Papa, il misterioso *Beneficio di Cristo*. Se si leggono le pagine 55 e seguenti di *Nemici dello Stato*, il libro *politico* pubblicato contemporaneamente a Q da DeriveApprodi (vedi recensione a pagina 7), si capisce anche perché: il metodo inquisitorio della repressione controriformistica vi viene indicato quale corrispettivo dello "stato di emergenza" moderno. Gli atti del processo "7 aprile" accostati a quelli dei processi alle streghe, il pentitismo parificato al sistema dell'abiura, l'accento posto sulla presunzione di colpevolezza. Nei confronti della medesima operazione compiuta proprio da Ginzburg (*Il giudice e lo storico. Considerazioni in margine al processo Sofri*, Einaudi 1991) - che dichiarava il proprio "spaesamento" - "Blissett" esprime sarcasmo: La "nuova inquisizione" non è "un'allegoria": "si è fuori dal reame delle figure retoriche, nel dominio del 'letteralmente'": "Nil novi..." (proprio dallo jettatorio adagio dell'Ecclesiaste "Blissett" ha preso il nome dell'informatore segreto dell'Inquisizione, Qoelet o Q, appunto - guadagnandosi per questo un rimbrotto dal maestro Prosperi, che sul "Corriere della Sera" dell'11 aprile ha citato un adagio egizio: "Non dire 'Oggi è come domani'").

In un intervento sul "Piccolo" di Trieste del 30 marzo, "Blissett", esplicitati i debiti *Acknowledgements* (tra gli altri proprio a Prosperi e Ginzburg), ha indicato fra i suoi intenti l'imposizione all'industria editoriale di un autore collettivo e di un -almeno parziale - *no copyright*, ma, soprattutto, una "rinnovata ambizione a essere metafora, occasione e strumento del conflitto sociale". Il limite (e insieme la forza) di Q, a quest'ultimo proposito, sta nel non essere un testo autosufficiente. Ignorando *Nemici dello Stato*, e in generale le altre attività di "Blissett", la dimensione politica del romanzo risulta perfettamente dissimulata: lettori anche acuti (senza parlare dei famosi ventimila acquirenti delle prime settimane...) non ne hanno neppure sospettato l'esistenza. Se è nella tradizione del romanzo storico il detournement allusivamente attualizzante delle vicende narrate (il modo in cui Manzoni parlava a suocera Spagna perché intendesse nuora Austria, come diceva Gadda - che dal canto suo non faceva nulla di diverso, contro il fascismo, con il detournement geografico della *Cognizione del dolore* e con quello cronologico, lieve ma cruciale, del *Pasticciaccio*...), in Q la "copertura" nicodemistica fa perfettamente ombra alla sua sostanza rivoluzionaria.

Lo stesso si può dire del linguaggio del romanzo, del tutto tradizionale (quanto meno nel solco della tradizione recente, postechiana, del romanzo storico), ma che non per questo andrà tacciato di omogeneizzazione stilistica (tanto meno in presenza di un "autore" che ha fatto del cut-up, del remix citazionale e del plagiarismo la propria "poetica"). Lo "stile", qui (così come la sostanza politica), non è nella pagina, bensì nel *circuito comunicativo nel suo complesso*, nella *reticolarità* degli interventi del "network creativo" che trascende le identità anagrafriche di quattro individui. Ed è questo il punto. *Integrarsi* nel sistema produttivo e promozionale di una *major* editoriale, partecipare al suo *merchandising* e addirittura alla fiera dello Strega sono o no forme accettabili di nicodemismo culturale e politico? C'è che vede nell'operazione Q una forma di tradimento "stilistico" (nel senso citato) - indicando in particolare l'ambiguità della formula relativa al copyright. Un testimone non coinvolto ha il compito di verificare se e come, nella struttura del testo, si trovi mutuata l'istanza ideologica che lo sorregge e lo motiva. Non si parla delle spie allegoriche disseminate nel testo, che ne fanno quasi un *roman a clef* (dal *nome multiplo* del protagonista alla sua attività di *falsario*, sino all'accento posto sulla libertà di stampa - la "rivoluzione inavvertita" della Eisenstein... -, antecendente della comunicazione telematica rizomaticamente libertaria). Ci si riferisce invece alla struttura gremita di flashback: in pratica due diari intrecciati (anche se non sempre formalizzati come tali), quello del leader anabattista e quello di Qoelet, permettono di mantenere quasi sempre la dimensione temporale al presente: in un continuo *farsi* dell'azione (sebbene l'arco di tempo coperto dalla narrazione sia di quasi quarant'anni). Ciò appare solidale con la concezione della storia espressa da "Blissett" nel più denso dei suoi interventi teorici (*Totò, Peppino e la guerra psichica*, pagine 20 e seguenti): in contrapposizione a una visione *apocalittica* e "lineare" della Storia (tesa, come recita l'etimo di "apocalisse", a rivelazioni ultime e terminali, calate da un "alto" più o meno trascendente), si sostiene un'ipotesi *ipocalittica*: nella quale cioè la "rivelazione" viene dal Basso (con tutto ciò che di postmarxiano e postfreudiano resta in questa metaforologia: non a caso il nome col quale è più spesso noto il protagonista di Q è "Gert dal Pozzo"), e non in una prospettiva utopistica bensì *di continuo*, in un eterno presente accelerato (non senza il gioco etimologico contro lo Stato come "participio passato dell'Essere, tentativo di fermare un divenire"). Per finire con una citazione di Raoul Vaneigem: "Nessuno risale più addietro del suo presente. Mai nessuna epoca ha meglio propagato [...] la sensazione che tutto si giochi adesso".

Forzandola a fare da fondale allegorico di una partita che si intende giocare *qui e ora*, la Storia viene riscritta da "Blissett" con strumenti retorici e stilistici atti a darne un'immagine *mossa*, irrequieta, radicalmente incerta (continua è la metafora, apparentemente consunta, del "precipitare delle cose") - che è anche il modo in cui si vorrebbe il presente: contro ogni Piano Regolatore, progettualità a lungo termine, norma comportamentale. Nella speranza che resti vva la "curiosità, quella insolente, caparbia curiosità di sapere come va a finire la storia". Le ultime parole di Q: "Possano i giorni trascorrere senza meta. Non si prosegua l'azione secondo un Piano".

Certo, la struttura descritta conferisce alla narrazione *anche* quell'immediatezza pulsante e ricca di colpi di scena che ne ha fatto la fortuna di pubblico: *agudeza* una volta di più nicodemistica e *ipocalittica* o, piuttosto, semplice furbata da *integrati*? Probabilmente non è il caso di demonizzare né l'una né l'altra ipotesi.