15 Sep 1999

Una terribile bellezza è nata

(parte seconda)

 

Alcuni esponenti della vecchia guardia sinistrorsa (ma perfino di quella anagraficamente più giovane), anche se disillusi e disincantati rispetto alle sorti della sinistra istituzionale e di governo, hanno ritenuto eccessivamente gioioso il tono con cui la colonna bolognese del Luther Blissett Project ha accolto la vittoria della destra alle elezioni amministrative in città.

Ecco una "ribattuta" che, dopo l'estate, spera di apportare un ulteriore contributo allo scandalo.
La questione è molto semplice e lineare, nient'affatto etica, e tutto sommato potrebbe essere ridotta alla seguente constatazione: per tutto il corso degli anni Novanta il partito di governo bolognese ha lavorato alacremente per la vittoria di Giorgio Guazzaloca.

Non c'è niente di paradossale in un'affermazione del genere, si tratta della pura e semplice realtà. Tutti coloro che negli ultimi tempi hanno suonato campanelli d'allarme e campane a morto per l'aristocrazia "rosée" che reggeva Bologna - e tra costoro si annovera Blissett - non hanno niente da rimproverarsi e anzi sono i veri vincitori materiali e morali delle ultime elezioni, insieme ai molti che si sono astenuti, sottraendosi al ricatto morale anti-berlusconiano che paralizza la politica italiana dal 1994. Sono i vincitori morali perché avevano previsto la brutta fine che l'ammasso di grigi e inetti burocrati diessini avrebbe fatto; e vincitori materiali perché la destra ha vinto per poco più di tremila voti di scarto. Quei tremila siamo noi outsiders. Non nel senso che siamo noi fisicamente - la schiera dei sinistrorsi scontenti, dei delusi e degli schifati è variegata -, ma nel senso che un'area politica di un paio di migliaia di persone oggi può fare la differenza in città: è l'ago della bilancia. Tutti quegli outsiders (centri sociali, lavoratori del terzo settore, operatori culturali, operatori sociali, associazioni laiche, circoli, gruppi teatrali, ecc.) più o meno sopportati/supportati dal Partito di governo, sostenuti soltanto quando potevano tornare utili al baraccone di Palazzo D'Accursio, si trovano improvvisamente e finalmente a essere determinanti. Se non altro perché sono l'unica "sinistra" ancora in piedi.

È la dimostrazione dell'inettitudine suprema dei DS bolognesi anche in termini di puro tornaconto elettorale: per anni l'area della sinistra extra-apparato è stata considerata marginale, una sorta di scomodo pungolo piantato nel fianco sinistro dell'amministrazione, gente a cui bastava lanciare qualche osso dai balconi di Palazzo D'Accursio per farla stare buona fino a dopo le elezioni, per poi tornare a fare gli gnorri e a delirare su ridicoli megaprogetti urbanistici e "culturali". La vittoria della destra ha fatto cadere il pesante tendaggio che copriva il vuoto, la nullità del partito di governo, che infatti si è sciolto come neve al sole. Oggi le uniche idee, progetti, energie umane, o anche solo la capacità dialettica, sono esclusivo appannaggio di quell'area tanto bistrattata (e che pure non gode certo di ottima salute...).

Perché dunque Blissett ha esultato alla caduta di tanto miseri "dei"?
È presto detto. Blissett, insieme a molti altri, negli ultimi cinque anni ha acceso un'infinità di spie d'allarme rosso per l'amministrazione diessina. A partire dalla critica feroce ai piani di ristrutturazione urbanistica: babiloniche stazioni per l'alta velocità i cui progetti ad alta incompatibilità ambientale, commissionati agli architetti di grido, sono costati miliardi; svendita di intere aree urbane alle multinazionali; politiche di cementificazione e di abbandono delle strutture dismesse; eccetera eccetera. Blissett è stato uno dei pochi a sollevare in città il problema della malagiustizia, delle campagne di diffamazione a mezzo stampa messe in atto da alcuni magistrati, quando praticamente tutta la sinistra istituzionale bolognese taceva, alla faccia del garantismo.

E ancora Blissett si è trovato insieme ai centri sociali, a Piazza Grande e a molte altre piccole realtà autorganizzate, nella vicenda di via Altura - l'ultimo atto, nonché l'epitaffio politico della scorsa amministrazione - che ha portato alla luce la totale inesistenza di politiche serie sull'immigrazione, un problema che l'amministrazione Vitali ha nascosto come lo sporco sotto il tappeto (un esempio per tutti: dopo otto anni di "prima accoglienza" dentro moduli di lamiera per terremotati, agli immigrati di via dell'Arcoveggio non sono state trovate delle abitazioni, bensì sono stati comprati dei moduli nuovi! Costo: due miliardi).
Sono cinque anni che Blissett - e come lui tanti altri - lancia attacchi ai diessini locali, ma si è sempre trovato di fronte la spocchia di chi si credeva eterno e la totale sordità alle questioni sollevate. Perché dunque si sarebbe dovuto reggere ancora il moccolo a quell'esecrabile ceto politico? La storia sa impartire le sue lezioni. Se un'amministrazione di sinistra non è in grado di dare risposte di sinistra ai problemi di una città, ma si arrabatta tra fanfaronate fantascientifiche, un millantato credito culturale e la pusillanimità reale, questa amministrazione non può non morire. Sarebbe stato criminale salvare quella classe dirigente. Sarebbe stato ancora una volta assecondare la sua codardia e la sua miseria, in cambio di niente, e protrarre per altri quattro anni la lunga notte dei morti viventi.

Questo non significa che adesso le cose andranno meglio. Sappiamo cosa vuole fare la destra. Sappiamo che per la maggior parte dei cittadini bolognesi non cambierà nulla; chi ci andrà di mezzo sono i più deboli: i barboni, i senzacasa, gli immigrati, i disturbati mentali, e tutti coloro che con queste categorie lavorano.

Anche per costoro è finita l'era della "sopravvivenza". Così come è finita per i centri sociali et similia: non è più sufficiente essere amici del tale assessore o del tal altro, sapere a chi stringere la mano e chi blandire, per riuscire ad attuare i progetti sociali o culturali. Adesso non ci sono più amici o ex-compagni dall'altra parte del tavolo. La "sopravvivenza" minima garantita dal consociativismo è a rischio. Per le categorie deboli sarà un disastro. E lo sarà anche per le forme di aggregazione "alternative". Ma era assolutamente inevitabile arrivare a questo, era scritto nelle scelte fatte dalla sinistra locale e nazionale negli ultimi anni.
Gli operatori sociali (chi lavora su progetti di accoglienza, inserimento e aiuto per immigrati, senzacasa, ex-tossicodipendenti o psicolabili) si trovano oggi di fronte a una scelta imprescindibile. E così tutti coloro che ritengono ineludibile per la sinistra la difesa di un welfare che possa dirsi tale. Costoro sono costretti a mettersi a lottare politicamente.

Per troppi anni a Bologna si è respirata l'aria del compromesso sociale e politico, delegando a una cialtronesca sinistra di governo la rappresentanza del proprio impegno lavorativo e umano. Non è questione di dare giudizi etici: se per fare le cose bastava conoscere un assessore ex-sessantottino o dirgli le cose "giuste", tanto meglio; ma oggi per quel tipo di compromesso non c'è più spazio. Perché non si poteva continuare ad affrontare un fenomeno storico mondiale come l'immigrazione dal sud del mondo con politiche emergenzialiste, mentecatte, di pura sopravvivenza, finanziando quei due o tre progetti che potevano dare "lustro" all'amministrazione bolognese, senza nessun progetto generale e complessivo. Ed è questo che l'amministrazione diessina stava facendo da anni, sfruttando le energie vive e malretribuite di coloro che realmente cercano di occuparsi del disagio sociale, confrontadocisi quotidianamente.

Oggi quella falsa sponda non c'è più. Non può più esserci. L'unica cosa che si può fare, è rimettersi a dare battaglia. E sarà difficilissimo, perché la politica della desistenza, il consociativismo, e il conservatorismo della sinistra di governo hanno disabituato la gente di sinistra a combattere politicamente, finanche a pensare politicamente. La storia ci presenta il conto delle putrescenti politiche di destra fatte dalla sinistra nel corso di tutti gli anni Novanta, che hanno scavato come tarli nella coscienza e nell'intelligenza.

Questo vale anche per gli operatori "culturali". Centri sociali, posti autogestiti, circoli e associazioni. Anche questi dovranno rimettersi a fare politica se vorranno sopravvivere ai tempi nuovi. Si dovranno guardare allo specchio e pensare a quanto è stato fatto (o piuttosto non è stato fatto) per trasformare le migliaia di "fruitori" serali in possibili difensori delle realtà autogestite. Insomma occorrerà pensare a delle strategie di conflitto, ma non solo, anche di competitività sul mercato della fruizione culturale e dell'intrattenimento. Da questo punto di vista la sinistra istituzionale non è in grado di pensare alcunché di interessante. Non riesce più a produrre pensiero, di nessun tipo, è il vuoto vacuo, il nulla. Le idee e i progetti nasceranno altrove, fuori dai luoghi preposti alla politica ufficiale e certamente fuori dagli elettorati, tra la crescente massa dei disertori civili.

Sia chiaro che non ci sarà alcuno sbocco inevitabile o necessario. Potrebbe anche finire tutto, spegnersi tutto lentamente, Bologna è per molti versi una città finita e non certo per colpa di Guazzaloca. Ma questa è la realtà in cui viviamo, questo è il mondo che la storia ci ha consegnato e non ci possono essere oasi felici, se non nelle forzate mitologizzazioni di parte, come quella che spacciava Bologna per la città' meglio amministrata del mondo, per consentire a quattro scalzacani di nascondersi dietro il mito.

Luther Blissett - dal Comando Unificato dell'Etruria Settentrionale

PS: Non è comunque necessario essere disfattisti o apocalittici. Se le strutture che reggono sulle proprie spalle l'approccio al disagio sociale sono a rischio, non è affatto detto che debbano scomparire. Questo perché esistono molte greppie a cui battere cassa. Finora ci siamo beccati soltanto la merda dell'ingresso in Europa (politiche finanziarie, tagli allo stato sociale, alle pensioni, ecc.), vale la pena di cominciare a sfruttare i lati positivi. I progetti di coloro che lavorano con le categorie deboli possono essere finanziati dall'Europa. Altri paesi del centro-nord Europa hanno classi dirigenti più lungimiranti della nostra, abituate a dare soldi ai progetti che funzionano, a quelle realtà che dimostrano di "saper fare" le cose, e senza chiedere in cambio vantaggi elettoralistici o adesioni a baracconi partitici. Oggi è possibile scavalcare le amministrazioni locali e comunicare direttamente con Bruxelles. Lo stesso consiglio va dato a chi ha progetti "culturali", comunicativi, sulle nuove tecnologie, e via dicendo. È molto più probabile trovare gente ricettiva, in grado di apprezzare il valore qualitativo di un progetto, in una commissione europea che in una giunta comunale italiana. Ma non bisogna dimenticare che ci sono sempre le Regioni, le Province e - perché no? - gli sponsor privati. Insomma, occorre guardarsi intorno a 360° e non disperarsi perché i vecchi canali di finanziamento scompaiono.

Del resto, non sono certo il primo né il solo a identificare nel lavoro "immateriale" il luogo del conflitto di classe del prossimo millennio. E proprio gli operatori sociali e gli operatori culturali (liberi professionisti sui generis, che vengono pagati "a progetto") sono una categoria potenzialmente forte nel nord del mondo, perché altamente strategica. Programmatori, web designers, grafici, public relators, scrittori, free lance, videomaker: tutti quelli insomma che lavorano con l'industria della comunicazione, luogo prediletto di creazione dell'immaginario, nonché di riproduzione del capitale. Assistenti sociali, operatori di comunità, educatori, organizzatori di seminari, ricercatori sul campo: tutti coloro che lavorano nell'ambito delle politiche sociali, unica alternativa alla militarizzazione delle città per contenere il dissesto di intere categorie umane.

Queste due tipologie lavorative possono creare un conflitto politicamente consapevole, perché rappresentano il "proletariato" immateriale del prossimo secolo. Si tratta di persone mediamente colte, tutte alfabetizzate, spesso collegate tra loro in reti transnazionali, e soprattutto in grado di ragionare con la propria testa, senza essere costrette a delegare la rappresentanza delle proprie ragioni a qualche apparato. Sono però anche difficilmente associabili, perché non hanno unità di luogo e d'azione, come invece gli operai dei passati cicli di lotta. Tanto per intenderci non sono pensabili sindacati di categoria.

Quindi le loro forme di lotta sono ancora tutte da definire e da fare. Certo è che saranno completamente diverse da quelle viste fino ad ora, perché diverso è lo scenario sociale, diversa è l'organizzazione del lavoro, diverso è quello che si produce nella testa delle persone.

Il ciarpame della sinistra istituzionale di fine secolo è indietro anni luce rispetto a quello che sta accadendo e che accadrà nel prossimo futuro e non è assolutamente in grado di adattarsi alla nuova conformazione del terreno su cui ci troveremo ad agire: tanto per intenderci, il partito dei DS o di Rifondazione Comunista stanno al presente come il Corpo d'Armata Francese arroccato a Dien Bien Phu stava alle "formiche rosse" sui sentieri di Ho Chi Minh. E in questo non ci sarebbe niente di male se questi vecchi apparati non avanzassero l'incredibile pretesa di essere ancora i catalizzatori e gli imbuti di ciò che di nuovo si pensa e si fa, quando il pensiero e l'azione nascono e navigano ormai a molte miglia di distanza da loro.

Dal mio punto di vista, più che di un Soccorso Rosso avrebbero bisogno di un bravo becchino.

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