IL CAPPIO DELLE ALLEANZE

Sofferte certezze e sennate supposizioni (a caldo)
sulla sporca guerra della Nato nei Balcani

 

di Luther Blissett

 

"...se l'ipotesi di guerra (che siamo bene obbligati di prendere in considerazione, visto che non si dà la propria firma ad un trattato militare se non si pensa alla guerra) si avverasse, la facoltà di sganciarci sarebbe inoperante. Sganciamento da chi e come? Come potrebbe un paese come il nostro (giacché io non parlo della luna ma dell'Italia) sganciarsi all'ultimo momento, quando avesse messo, come dovrà pure mettere, le sue basi militari a disposizione di eserciti stranieri, e quando avesse portato fino in fondo gli atti politici, che dovrà pur porrtare a fondo e che spiegano o giustificano la sua adesione alla coalizione militare dell'Occidente? [...] Non vi sgancerete, ma per la strada che avete intrapresa dovrete stare nella guerra; tutti dovremo purtroppo sopportare le conseguenze della pazzia che oggi è del Governo e non vorrei diventasse domani la pazzia del Parlamento italiano."

Pietro Nenni, intervento alla Camera dei deputati contro l'adesione dell'Italia al Patto atlantico, 12 marzo 1949 (in: Pietro Nenni, Il cappio delle alleanze, Milano sera editrice, 1949, pagg. 246-247)

 

1. Serbia: costruzione mediatica di un nemico pubblico internazionale

 

Il meccanismo con cui le potenze occidentali costruiscono la figura del "nemico pubblico" di turno (Gheddafi, Noriega, Saddam, Milosevic etc.) è assolutamente identico a quello con cui nella nostra politica interna - di "emergenza" in "emergenza" - si sono poste le basi di ogni giro di vite liberticida, in nome della "stabilità" e della "governabilità", finché l'individuazione dei capri espiatori (terroristi, mafiosi, tangentari, pedofili, micro-criminali etc.) non è divenuta un vero e proprio metodo di governo.

A livello planetario, la figura archetipica dell'alieno, del "nemico esterno" - quindi "nemico dell'umanità" - viene periodicamente rivitalizzata per rendere accettabile alla fantomatica "opinione pubblica" dei paesi capitalisti avanzati non solo una violazione, ma una vera e propria sospensione delle garanzie formalmente sancite dai trattati e dalle convenzioni internazionali, oltreché dei vincoli radicati nelle costituzioni nazionali (plateale il caso dell'art.11 della costituzione italiana). Accettabile? Di più: necessaria e auspicabile per difendere la "democrazia", i "diritti umani", l'Umanità stessa.

Quest'autodelegata "rappresentanza" del genere umano da parte degli Usa e dei loro alleati risale ai processi di Norimberga e di Tokyo, veri e propri paradossi giuridici in cui per la prima volta si ricorse (anche retroattivamente) al concetto di "crimini contro l'umanità". Secondo l'art. 6c dello Statuto del Tribunale di Norimberga, approvato a Londra l'8 agosto1945, i crimini contro l'umanità sono "commessi ai danni di una qualsiasi popolazione civile... prima o durante la guerra". Due giorni prima della firma dello Statuto, un fatidico 6 agosto, gli americani sganciarono l'atomica su Hiroshima. Il giorno dopo la firma, il 9 agosto, fu colpita Nagasaki. Complessivamente, morirono circa 120.000 civili giapponesi. Quest'azione criminale rientrava perfettamente nella fattispecie del suddetto articolo. Saltava all'occhio fin dall'inizio che sarebbero stati ritenuti "contro l'umanità" solo ed esclusivamente i crimini commessi dai nemici (veri o presunti) dell'occidente "liberale" e capitalistico. Il "crimine contro l'umanità" è una truffa ideologica, un prodotto del diritto dei vincitori.

Nel mondo post-bipolare, la truffa continua. Il caso della Serbia è paradigmatico: uno tra i diversi nazionalismi fioriti nei Balcani dopo la caduta del Muro è stato scelto come quello "cattivo", nuovo babau delle stanche coscienze democratiche. Al contrario, altri particolarismi etnocentrici riesplosi nella stessa area (soprattutto il croato e il bosniaco) sono stati ritenuti accettabili e difendibili, e si è fatto leva su di essi per evidenti scopi di destabilizzazione dell'Europa sud-orientale, e di annullamento di una scomoda anomalia geopolitica. In questo modo, l'occidente ha incentivato la "pulizia etnica" e ne ha avallato il principio.

La Jugoslavia di Tito era l'unico paese a essersi liberato dei nazifascisti senza bisogno degli Alleati né dei sovietici, quindi a non dover accettare alcun ricatto morale, piano Marshall, Comecon etc. Tito, pur con gli ovvi limiti di una variante "temperata" dello stalinismo, aveva edificato uno stato-nazione laico e multiculturale, la cui unità non si basava su nessuna mistica del suolo e/o del sangue. Inoltre, il paese era alla guida del cosiddetto blocco dei "non allineati". Quanto a Belgrado, quasi tutti coloro che la visitarono ai tempi concordano nel definirla una città colta e cosmopolita.

Qualche anno dopo la morte di Tito, alle prime avvisaglie di un riemergere della questione etnica, innumerevoli uccelli del malaugurio, anziché cercare di capire come salvare il salvabile, criticarono la presunta "artificiosità" del progetto socio-politico di Tito. Annunciando il crollo definitivo di quest'ultimo, cancellarono con un colpo di cimosa cinquant'anni di convivenza, di rapporti umani, sociali, culturali e professionali. Tutto questo in nome di un riemergente principio etnico dato per "ancestrale", di una dottrina della razza forse più "politically correct" ma certo altrettanto ripugnante di quella di Gobineau, Hitler e il giovane Almirante.

Nel frattempo, le prescrizioni del Fondo Monetario Internazionale (il cui intervento era stato sollecitato dal premier Ante Markovic durante una visita negli Usa) stavano smantellando l'economia pubblica di un'indebitata Jugoslavia: nonostante l'inflazione galoppante, nel novembre '89 l'Fmi impose un congelamento dei salari. Nei primi sei mesi del '90 il potere d'acquisto dei lavoratori calò di un drastico 41%. L'Fmi prese in ostaggio la Banca Centrale, poi fece in modo che i fondi destinati a sostenere il sistema fiscale-previdenziale delle repubbliche federate fossero dirottati per pagare una parte del debito estero. Ciò accrebbe il malcontento, soprattutto in Croazia e Slovenia, e favorì la propagazione di umori secessionisti. La pressione del capitale: è questa la realtà che sta dietro tutte le "guerre etniche" e le re-invenzioni delle identità.

Già prima che scoppiasse il bubbone, forse quando ancora si trattava di un brufoletto, non si parlava più di "cittadini" jugoslavi o genericamente di persone: sul proscenio c'erano soltanto gli eserciti ready-made della guerra di sangue: "i Serbi", "i Croati", "gli Sloveni" etc. Le pseudo-analisi iniziarono a risalire indietro di millenni, in cerca dei precedenti più pretestuosi, per costruire una identità "serba" da sempre basata sulla guerra, sul saccheggio, sulla prevaricazione, sul fanatismo religioso. Quanti manifestavano contro la follia fratricida, magari portando in corteo i ritratti di Tito (a simboleggiare la liberazione e l'unità interetnica del paese) vennero quasi subito definiti "nostalgici" e poi, ovviamente, "serbi" (anche quando si trattava di croati o di bosniaci).

Le potenze occidentali (nelle prime fasi, soprattutto l'appena riunificata Germania) gettarono sempre più benzina sulle braci di vecchie rivalità, galvanizzando opposti ceti politici e adottando la politica del "due pesi e due misure". Tudjiman era ed è chiaramente un macellaio parafascista, le sue "pulizie etniche" erano speculari a quelle di Milosevic, ma il ruolo del "cattivo" era già stato scritto per quest'ultimo (e va detto che gli calzava come un guanto), poiché a dover essere destrutturate non erano le spinte centrifughe-separatiste bensì quelle centripete-jugoslaviste. Nel mezzo del carnaio, furono commessi stupri dai miliziani di tutte le fazioni, ma solo quelli commessi dai serbi furono definiti "stupri etnici". Tudjiman "ripulì" la Croazia dai serbi che la abitavano, ma la "pulizia etnica" doveva essere solo quella di Milosevic. Croazia e Slovenia vennero riconosciute come stati indipendenti prima ancora che si separassero, e la Jugoslavia fu definitivamente inchiodata al ruolo di "nemico dell'occidente". C'è da stupirsi se in questo modo si è rafforzato il revanscismo grande-serbo?

Il risultato di queste politiche da apprendisti stregoni lo si vide soprattutto nella tragedia di Sarajevo, città dalla tradizione multietnica assurdamente attribuita, anziché alla tenuta pluridecennale del progetto di Tito, a un non meglio definito "carattere bosniaco". L'occidente restò sorpreso dalle dimensioni dell'incendio che aveva attizzato, così scelse la via dell'intervento diplomatico e militare, coi bombardamenti Nato della prima metà del '94 e con gli accordi di Dayton dell'autunno '95. La linea rimase quella della pulizia etnica, della creazione di repubblichette, minimondi monoculturali, protettorati internazionali con cui circondare la Jugoslavia e stabilire teste di ponte Nato sempre più a est, in un'area importantissima dal punto di vista strategico ed economico.

Oggi Croazia e Bosnia non hanno alcun controllo sulle proprie economie, sono totalmente eterodirette dal Fmi e della Banca Europea. Soprattutto la Bosnia è stata completamente colonizzata (per capirci: non può battere moneta autonomamente, e per legge un bosniaco non può diventare direttore della Banca Centrale!).

 

2. Rambouillet: finta trattativa, pretesto per bombardare

 

Tutti lo nominano, ma nessuno sa cosa prevedesse. Il non-accordo di Rambouillet è disponibile in inglese al sito <http://www.transnational.org/highlight/>. Leggendolo non è difficile rendersi conto di quanto fossero irragionevoli per qualunque "stato sovrano" - concetto che comunque non ci appartiene - le condizioni dettate dalla Nato, con emendamenti sempre più squilibrati che hanno peggiorato la prima bozza fino alla versione definitiva del 23 febbraio, che Milosevic si è rifiutato di sottoscrivere. Il sospetto è che si sia volutamente peggiorato il testo dell'accordo per mettere la Jugoslavia con le spalle al muro e poter dare al mondo una sciagurata prova di forza. Come ci si poteva aspettare che Milosevic accettasse un Kosovo "indipendente" (ma in realtà occupato da ben 30.000 volontari Nato), in cui nessuna autorità jugoslava avrebbe potuto far valere alcunché, i serbi sarebbero stati cittadini di serie B, l'Osce avrebbe potuto epurare impunemente tutte le istituzioni dal personale non-albanese, etc.? Inoltre, l'accordo non prevedeva la cessazione dell'embargo economico contro la Jugoslavia, mentre garantiva ingenti aiuti economici al Kosovo e l'amnistia per tutti i reati commessi dall'Uck. Quest'ultimo, al contrario delle forze jugoslave, non riceveva alcun esplicito ordine di disarmo, e probabilmente avrebbe avuto mano libera nell'espulsione della popolazione serba, per la quale non era prevista alcuna garanzia. Infine, lo spazio aereo del Kosovo sarebbe passato sotto il pieno controllo della Nato. Inaccettabile, nella maniera più assoluta.

 

3. Uck: la corsia preferenziale di un esercito virtuale

 

L'Uck (Ushtria Çlirimtare e Kosovës, esercito di liberazione del Kosovo) è stato riconosciuto dagli Usa e dalla Nato, al contrario di altre organizzazioni guerrigliere, "nazionalitarie" o internazionaliste. Molte di queste sono meglio radicate nel loro territorio di quanto sia mai stato l'Uck in Kosovo, ma la loro colpa è quella di combattere dentro e contro stati membri o amici dell'Alleanza. L'esempio più ricorrente è il Pkk di Ocalan, ma sono tanti i gruppi citabili (in Europa vengono in mente l'Eta e l'Flnc corso, in Nordafrica il Fronte Polisario saharawi, in Messico l'Ezln e l'Epr, in sudamerica l'Mrta etc.). Il percorso dell'Uck presenta molte analogie con quello dei Contras nicaraguensi.

Da almeno due anni l'Uck viene sostenuto, anche finanziariamente, da Usa e Germania. C'è chi parla di campi d'addestramento in Albania e Macedonia, organizzati da Nato e CIA. La sua forza politica e militare è stata costantemente esagerata, con un'ubriacante oscillazione degli effettivi (si va dai 300 ai 30.000 uomini armati). Quest'organizzazione è anche sospettata di coinvolgimenti nel narcotraffico (il Kosovo sta sulla "via dell'eroina" che congiunge l'Afghanistan all'Europa via Turchia) e ritenuta, non solo da fonti serbe, colpevole di stragi non meno efferate e indiscriminate di quelle delle "Tigri" di Arkan. La minoranza serba-kosovara (fino all'inizio dell'offensiva Nato, il 10% della popolazione della regione) ha subito numerosi attentati per mano di questi "eroi".

In realtà l'Uck è un entusiasta partecipante al gioco della pulizia etnica, della conquista del Lebensraum - lo "spazio vitale" dei proclami nazisti - mediante ripetuti bagni di sangue "alieno". Scrive Giovanni Porzio su Panorama dell'8/4/99, pag.74: "Gli obiettivi e l'organizzazione dell'Uck restano vaghi. I miliziani affermano di battersi per l'indipendenza, ma nelle loro carte geografiche il Kosovo include i territori macedoni abitati dalla minoranza albanese, il sud del Montenegro e l'intera Albania". È per appoggiare questi tagliagole che si è iniziato a bombardare Belgrado e Novi Sad con missili "intelligenti" scaduti e con armi contenenti uranio (i "Warthogs" A-10). Questa era l'organizzazione destinata a divenire la polizia del Kosovo "autonomo" progettato a Rambouillet.

Perché "era"? Perché dall'inizio dei bombardamenti, chi scrive ha cominciato a sospettare che l'Uck non esistesse nemmeno: dov'era l'Uck durante gli ultimi rastrellamenti? Cosa ha fatto per soccorrere i profughi albanesi in fuga dal Kosovo bombardato? L'ipotesi che l'Uck fosse poco più di un esercito virtuale, una disorganizzata gang usata dagli Usa come pretesto per una "mediazione", dev'essersi affacciato nella mente di molti spiriti critici. Poi è circolata un'interessante dichiarazione rilasciata da tale Shkem Dragobia, militante dell'Uck, secondo cui la Nato avrebbe tradito la causa kosovara:

 

Quando firmammo l'accordo di Rambouillet, ci fu fatto credere che la Nato e gli Usa avrebbero aiutato gli albanesi, così sospendemmo le operazioni. La Nato non ha mantenuto le sue promesse. Ora noi ci appelliamo a tutti gli albanesi e ai nostri amici: ora o mai più. Stiamo cercando di fermare l'esodo dei Kosovari dal Kosovo, estendendo il nostro controllo sul territorio, e poi stiamo cercando di fermare le partenze dall'Albania. Vogliamo che la Nato e gli Usa mantengano quanto promesso, l'invio di truppe di terra. Altrimenti, vogliamo rifornimenti di armi e il tempo di riorganizzarci. Se questo non ci verrà concesso, allora vogliamo essere lasciati in pace, vogliamo sbrigarcela noi coi Serbi. Siamo in grado di farlo, se proprio dobbiamo. (Kukes, confine tra Albania e Kosovo, 2/4/1999, <http://www.iwpr.net/>).

 

È evidente che la Nato non ha poi una gran considerazione dell'Uck, che ha sempre e solo considerato un fantoccio, e ancor meno gliene fotte delle sofferenze dei kosovari, che sta spedendo in giro come pacchi postali indesiderati (in Australia, a Guantanamo, addirittura in Micronesia!).

Ma ora l'Uck, da semi-virtuale che era, potrebbe diventare reale (e fuori controllo) grazie agli arruolamenti volontari.

Chi, come l'Uck, sfreccia incurante sulla corsia preferenziale del "riconoscimento", rischia di provocare incidenti, investire pedoni, far sbandare le altre vetture. La "balcanizzazione"... dei Balcani è appena cominciata.

 

4. Falsità dell'informazione e info-guerra di Milosevic

 

È superfluo dire che l'informazione si è calata l'elmetto: ogni giorno sono tali e tante le fandonie raccontate da stampa e TV da rendere più che oneroso l'impegno di stendere un campionario.

Si mostra l'esodo degli albanesi kosovari, con insistiti primi piani sui volti dei vecchi e dei bimbi, ma ci si guarda bene dal dire che quelle centinaia di migliaia di disperati, nella maggior parte dei casi, hanno lasciato i loro villaggi per paura tanto dei bombardamenti Nato quanto delle rappresaglie serbe scatenate dai bombardamenti. Nei sei mesi precedenti c'erano state alcune decine di migliaia di profughi e sfollati; dopo l'offensiva Nato, ce ne sono stati più di mezzo milione in dieci giorni. Come pseudo-prova che i kosovari scappano da rastrellamenti di massa, si mostra qualche "snuff video" amatoriale, dove si vedono due o tre cadaveri stesi a pancia in giù.

I media esaltano i bombardamenti "chirurgici" sulla Serbia, eppure i nostri amici, parenti e semplici conoscenti che vivono a Belgrado ci informano via e-mail che vengono colpiti soprattutto obiettivi civili: caseggiati, ospedali, facoltà universitarie, ponti su cui stanno transitando decine di automobili... Sono tutti servi del regime? Digitano con la pistola puntata alla tempia?

Poi c'è la legione degli "scomparsi" e dei "ricomparsi". Pensiamo a Rugova e gli altri leader moderati: non li avevano ammazzati i serbi, maledette carogne? Lo ripetevano tutti i telegiornali, poi Rugova è ricomparso, un po' teso ma vivo e vegeto, al fianco di un sorridente Milosevic. Poi ci sono gli "ubiqui", come Arkan, il Kaiser Soze dei Balcani: c'era chi giurava di averlo avvistato nei dintorni di Pristina, intento a uccidere tutto quello che si muoveva... E invece si stava facendo intervistare in un lussuoso albergo di Belgrado, con un bel completo da nuovo arricchito e la moglie sciantosa a braccetto.

Quanto alle non-scelte del governo italiano e alla codardia dei putrescenti intellettuali alla Bobbio, l'opinione di chi scrive può essere facilmente dedotta da tutto quanto scritto finora. È inutile sprecare bytes per questi morti-in-piedi.

È invece opportuno (e macabramente divertente) soffermarsi sull'info-guerra in corso. Come i "crimini contro l'umanità", la "disinformazione" e la "propaganda" sono sempre quelle del nemico. Quella della Nato può al massimo essere definita "mancanza di trasparenza" (Enrico Mentana, TG5 delle 20, 31/3/1999). Nei primi dieci giorni di guerra, la "disinformazione" serba è divenuta oggetto di sfrenata mitopoiesi demonizzatrice, e anche questo ha favorito i contrattacchi "semiotici" di Milosevic, che ha saputo sfruttare il mito ribaltandolo in positivo e usandolo come arma.

Gli inviati dei media occidentali a Belgrado parlano (a ragione) di un'opinione pubblica compattamente schierata con Milosevic, e attribuiscono questo consenso alla pervasiva propaganda del regime, soprattutto all'uso sapiente della televisione. Per quanto riguarda il cyberspazio (visto da fuori, con l'occhio dei media tradizionali), sono fiorite e tuttora fioriscono mille leggende urbane sulle sinistre attività degli hackers serbi. Per quanto riguarda il cyberspazio visto da dentro, newsgroups e mailing lists ospitano messaggi come questo, postato sulla lista Nettime (<http://www.desk.nl/~nettime/>) il 2 aprile scorso, a firma "Roya Jakoby":

Il regime serbo ha preparato la propria guerra dell'informazione in un modo che i "guerriglieri mediatici" occidentali non avrebbero mai osato immaginare. Mentre questi "guerriglieri" sognano ancora di truffe e performances, la macchina propagandistica di Milosevic ha già trovato il modo di manipolare i truffatori. Quando capiremo come funziona la macchina da guerra del regime serbo? Quando ci renderemo conto che questa macchina ci ha già invasi? Quanto tempo ci vorrà per capire che le e-mail provenienti dalla Serbia sono scritte dal personale del "Ministero serbo dell'informazione" <http://www.serbia-net.com/>. Mettendo a confronto sia lo stile sia il contenuto degli scritti, troverete troppe similitudini per credere davvero che le "lettere dalla Serbia" siano scritte da privati cittadini (cioè da menti critiche - il che sarebbe anche più sconvolgente). La propaganda totalitaria ha possibilità di infiltrarsi solo dove trova complicità ideologiche: date alla sinistra un po' della sua ideologia preferita, e la sinistra crederà acriticamente a tale propaganda. Scordandosi di tutte le sue "teorie critiche sui media", la sinistra ha subito ripetuto le "informazioni" fornite da Belgrado senza cercare alcuna prova della loro affidabilità. D'altro canto, il contributo di Noam Chomsky alla disperazione degli umani ci sta proprio bene sul sito di propaganda serba <http://www.srpska-mreza.com/forums/kosovo/wwwboard.html>. Qui potrete leggere anche molte lettere di sostenitori entusiasti, anche queste scritte da dipendenti del Ministero! Devono avere molto apprezzato le utili informazioni su come adattare la loro propaganda alle esigenze dei media di sinistra occidentali.

È chiarissimo l'iniziale riferimento spregiativo a Luther Blissett. Stranamente, mentre alcuni testi che mettevano in discussione l' intento "umanitario" della Nato venivano definiti "sfoghi paranoici", nessuno su Nettime ha denunciato questo messaggio come propaganda "nera" filo-serba (si dice "black" la propaganda che finge di venire dallo schieramento contrapposto). Jakoby tesse un incantato elogio di un onnipotente e astutissimo ministero serbo della propaganda; far credere che tutte le e-mail provenienti dalla Jugoslavia siano in realtà scritte da professionisti dell'intelligence potrebbe essere la più brillante truffa mediatica messa in atto da tali professionisti. Se foste un gruppo di "ratfuckers" serbi, non inondereste Internet di speculazioni come questa?

Sfortunatamente, quella di Jakoby non è propaganda "nera" sottilmente collaborazionista, ma semplice propaganda "bianca" difettosa. Il sottotesto, chiaramente leggibile, è: solo la Nato ha il diritto esclusivo di manipolare i media occidentali, nessuno a parte lo zio Sam ha il permesso di fottere i nostri cervelli.

E invece no, perché what goes around comes around: dopo quasi dieci anni di monopolio della disinformazione, prima o poi il Pentagono doveva fronteggiare l'ascesa di una sarcastica contro-manipolazione. Fin dal primo giorno di bombardamenti, la Jugoslavia è ricorsa a raffinate tattiche d'infoguerra come risposta al mostrare i muscoli da parte della Nato, spesso imprimendo agli stessi enunciati del nemico una virata paradossale e un'accelerazione che ha creato sincero imbarazzo (e collera) ai vertici Nato e ai media occidentali.

L'esempio più recente è quello della cattura degli "sconfinatori" Stone, Ramirez e Gonzales (che probabilmente facevano parte di un drappello di ricognitori o addirittura di guastatori-sabotatori: la Nato non è riuscita a spiegare cosa stessero facendo al momento della cattura). Quando la Nato ha chiesto che fossero rispettate le convenzioni internazionali sui prigionieri di guerra, la Jugoslavia ha fatto presente di non essere in guerra con nessuno, bensì di essere vittima di un'aggressione terroristica, quindi - almeno tecnicamente - i tre americani non sono prigionieri di guerra e non possono appellarsi ad alcuna convenzione. Che si aspettava la Nato? Questa guerra è stata definita coi più vigliacchi eufemismi: "intervento umanitario", "peace enforcing", etc. Nessuna dichiarazione di guerra ufficiale, ergo nessuna convenzione. Semplice e chiaro. Subito dopo, la Jugoslavia alludeva sarcasticamente al "garantismo" processuale occidentale, dichiarando che la corte marziale stava "raccogliendo le prove" contro gli imputati, implicando dunque che Stone, Ramirez e Gonzales avrebbero comunque subito un processo equo. Nessun mezzo di informazione ha potuto fare a meno di riportare l'esilarante battuta.

Ma forse la "beffa" meglio riuscita è quello dello Stealth F-117 abbattuto in Vojvodina. Nessun giornalista ha potuto intervistare il pilota "recuperato", anzi, nessuno lo ha visto, così i media hanno iniziato a dubitare della versione ufficiale della storia. Già il 30 marzo il gruppo romano MIR (Men In Red) spediva il seguente messaggio alla lista movimento@ecn.org:

Strana storia quella del F-117 precipitato a pochi chilometri da Belgrado. Strano soprattutto per la rocambolesca e tardiva fiction relativa al recupero del pilota.

Ma andiamo per ordine. L'F-117 Stealth, l'aereo invisibile e fino all'altro ieri supersegreto americano, nasce come UFO. Nel senso che le prime ricognizioni sul territorio americano venivano scambiate spesso per quelle di un aereoveivolo di origine extraterrestre, grazie ad una manovrabilità non paragonabile a quella di nessun altro avioveicolo terrestre. Così intorno alle basi USA in cui si sperimentavano i primi voli dello Stealth si susseguivano avvistamenti UFO, che l'USAF non si preoccupava di smentire. Fiorivano le ipotesi che su quelle basi si sperimentassero tecnologie extraterrestri o che addirittura fossero luoghi in cui si stringeva una sacra alleanza fra Alien Nation e militari americani. Solo quando il progetto Stealth venne reso di pubblico dominio, molti di quegli avvistamenti UFO vennero facilmente ricondotti all'F-117 e perse credibilità l'ETH (Extra Terrestrian Hypotesis). Si venne così a sapere, fra l'altro, che lo Stealth ha fra le sue caratteristiche quella di poter essere guidato da terra, senza alcun pilota a bordo.

... dall'inizio della guerra fonti serbe hanno dato notizia di almeno 3 abbattimenti prima dell'F-117 e di almeno 1 dopo. Le forze Nato hanno sempre smentito. L'unica differenza fra gli abbattimenti di altri aerei e questa, confermata, dello Stealth è data dall'esistenza di immagini del veicolo abbattuto.

È ipotizzabile che vista la permeabilità della Jugoslavia alle fonti giornalistiche esterne non avrebbe molto senso per la Serbia dare notizie smentibili di aerei Nato abbattuti. [...] Ora in realtà l'unico elemento reale che provi l'abbattimento di un aereo oltre che da immagini è costituito dalla presenza di un pilota umano a bordo che, in caso di morte, potrebbe difficilmente essere taciuta. Possiamo pensare che le forze serbe abbiano realmente abbattuto altri aerei Nato, ma che la Nato abbia potuto facilmente smentire viste le scarse ricadute sociali, in fondo nessun militare sarebbe morto. Quando i serbi abbattono lo Stealth, hanno forse capito il gioco e oltre a diffondere le immagini, per la prima volta parlano di due piloti catturati. Solo parecchie ore dopo la Nato conferma l'abbattimento ma sostiene di aver recuperato il pilota (uno). Difficile credere che un elicottero Nato possa atterrare in pieno territorio serbo, a 30Km da Belgrado, visto che a ben altre altezze viene abbattuto il gioiello dell'aviazione. Difficile credere che quell'elicottero arrivi 4 ore dopo, ma prima delle "milizie" serbe che controllano il territorio. [...]

La verità è che a bordo dello Stealth non c'era alcun pilota. E, se le notizie serbe di abbattimento di altri veivoli sono vere, forse non c'è nessun umano a bordo degli aerei che bombardano la Jugoslavia.

La crudele realtà potrebbe essere che mentre muoiono migliaia di civili nessun militare stia rischiano la vita, ma stia semplicemente e cinicamente giocando davanti al monitor con un sofisticato videogame.

Prima o poi la verità verrà a galla, e se coinciderà con l'ipotesi dei MIR, allora gli storici dovranno dare a Slobodan quello che è di Slobodan, e vedere questa "beffa" come un grande successo conseguito da Milosevic nella sua infoguerra.

Milosevic e sua moglie Mirjana Markovic (praticamente inseparabili, frequentemente paragonati ai coniugi Macbeth) non sono certo nuovi al détournement: ogni sconfitta della parte serba (la riconsegna di Vukovar ai croati, l'accettazione degli accordi di Dayton etc.) si è alchemicamente trasformata in una loro vittoria personale, grazie anche ai profughi delle zone etnicamente "ripulite" che, una volta accolti a Belgrado e dintorni, hanno alimentato il consenso per un regime che premeva i pedali del vittimismo di massa e del sogno revanscista. I Macbeth di Belgrado non sono mai stati così forti: hanno il controllo incontrastato dei media e dell'apparato militare, sono diventati eroi della resistenza al mondialismo, e sembrano divertirsi un mondo mentre si scatena l'inferno. È probabile che, come sempre, vincano sul medio-lungo periodo, anche se il loro paese perderà nell'immediato.

Mentre scriviamo (pomeriggio del 6 aprile 1999), Milosevic ha appena dichiarato una "tregua unilaterale", che le potenze occidentali si affrettano a rifiutare. È indubbio che questo gesto teatrale rafforzerà ulteriormente il governo di Belgrado, che dimostra ancora una volta di avere in mano l'iniziativa, di essere quello che imprime le svolte.

 

5. Confini, protettorati, oleodotti

 

Se è vero l'assioma che "solo un minus habens può credere che si bombarda Belgrado per difendere il Kosovo" (Luciano Canfora, L'Unità, 4/4/1999), e chi scrive pensa sia incontestabilmente vero, allora c'è una "hidden agenda", o meglio, più d'una.

La Nato, dopo aver precariamente inglobato paesi dell'ex-blocco "socialista" come Repubblica Ceca e Ungheria (l'unico paese Nato a non confinare con un altro), ha bisogno di estendere il proprio controllo su tutto il Danubio (importantissima via di comunicazione est-ovest). Inoltre, violando il proprio stesso statuto, vuole costruirsi una nuova identità come "forza di sicurezza" (cioè di polizia), oltre il ruolo prettamente "difensivo" che l'ha caratterizzata per 50 anni. La "sicurezza" di chi? È presto detto: stabilendovi protettorati e stati virtuali, la Nato assume definitivamente il controllo di un'area determinante, potenziale zona di transito verso il Mar Nero e il Mar Caspio. Per dirla con le parole di Sean Gervasi (da: "Why Is NATO in Yugoslavia?", gennaio 1996):

Con la guerra contro l'Irak, gli Usa garantirono la sicurezza del proprio insediamento in Medio Oriente. La quasi simultanea disintegrazione dell'Urss aprì all'occidente la possibilità di sfruttare le risorse petrolifere della regione del Mar Caspio. Tale regione è estremamente ricca di petrolio e gas naturali. Alcuni analisti occidentali pensano che potrebbe diventare, per l'occidente, tanto importante quanto il Golfo Persico. Paesi come il Kazakhistan hanno enormi riserve di petrolio, con probabili eccedenze fino a 9 miliardi di barili. Il Kazakhistan potrebbe estrarre 700.000 barili al giorno. Il problema, comune ad altri paesi della regione, è quello del trasporto di quel petrolio e quel gas, per vie sicure, fuori dalla regione e fino all'occidente. Non è solo un problema tecnico: è un problema politico. Per gli Usa e per gli altri paesi occidentali è d'importanza cruciale mantenere buone relazioni con paesi come il Kazakhistan. Ancora più importante è avere tutte le garanzie che qualunque accordo, riguardante l'estrazione di greggio e/o la costruzione di oleodotti, venga assolutamente rispettato, dato che le cifre che si progetta di investire nella regione sono astronomiche. Ciò significa che le industrie occidentali, le compagnie petrolifere e le banche vogliono essere rassicurate sulla "stabilità politica" dell'area, vogliono essere certe che nessun cambiamento politico minaccerà i loro interessi. <http://www.mclink.it/assoc/fondpasti/nato/gerv-e.htm>

Poi c'è un conflitto più trasversale: gli Stati Uniti stanno combattendo principalmente contro l'Europa. Come scrive Bifo:

La neonata potenza finanziaria medita sulla possibilità di dotarsi di un esercito unificato. Questo potrebbe un giorno contendere alla lobby militare americana il monopolio mondiale sulla guerra.

La lobby militar-industriale americana non può permetterlo. Il pericolo europeo va eliminato. Il povero Kosovo serve a questo. [...] Se una logica si può trovare nella guerra di Pasqua è questa: il complesso industrial-militare nord-americano ha sventato il pericolo che l'Europa si costituisse come forza politica e militare. Ha costretto l'Europa ad entrare in una guerra suicida dalla quale uscirà umiliata o sconvolta, una guerra nella quale i peggiori istinti dei popoli europei risorgeranno. (L'Europa è nata morta, inedito).

Per fare questo, si è scelto di muovere la Nato e non l'Onu, come invece successe con l'Irak. Il patto d'acciaio della Nato, come scrive Joseph Halevi e come aveva previsto Pietro Nenni nell'intervento citato in epigrafe, rende impossibile "lo svincolamento di qualsiasi membro dell'Alleanza dal suo abbraccio tutt'altro che affettuoso. Un paese - poniamo la Francia - che volesse riprendere una dimensione autonoma [provocherebbe] una crisi all'interno della Nato e delle istituzioni europee" (Il Manifesto, 4/4/1999).

C'è un'ulteriore torsione: la Germania sta combattendo contro il resto d'Europa. In questi giorni si è consolidato un asse Washington-Bonn, in cui Bonn si fa garante della subalternità a Washington del "nuovo vecchio continente", in cambio di un accresciuto peso economico nei Balcani meridionali (quanto a quelli settentrionali, Slovenia e Croazia sono nell'orbita tedesca fin dalle loro secessioni), cioè di qualche fetta della torta. Come scrive Halevi, "l'asse Washington-Bonn aumenta l'asimmetria tra Bonn e l'Europa, tra Bonn e Parigi in particolare".

 

6. Conclusioni

 

Are you kidding? Pensate davvero che ci sia bisogno di conclusioni?

Il rosicchiato e ingiallito libro di Nenni (che prima vinse il "Premio Stalin" poi diventò atlantista e fece il centro-sinistra assieme alla DC) è ricomparso provvidenzialmente tra le mani di chi scrive. È incredibile l'assonanza col presente di certe pagine: evidentemente nell'immediato post-Yalta, con la cortina di ferro già calante e la minaccia damoclea della bomba atomica, si respirava aria pesante, anche se più leggera di quella odierna... A proposito dello scavalcamento ed esautoramento dell'Onu da parte della Nato, ecco una dichiarazione passe-partout e prête-à-citer dell'allora segretario generale dell'Onu, Trigve Lie: "Se i popoli accettano che le alleanze regionali sostituiscano la sicurezza collettiva, la speranza di una pace duratura sarebbe duramente colpita" (Nenni, cit., pag.241). E ancora:

Noi constatiamo che, ormai, la realtà del mondo è fuori dell'Onu; che la sessione che volge melanconicamente al suo termine sembra più indirizzata a ricoprire con una pudica foglia di fico combinazioni di carattere militare che a ricercare soluzioni politiche e diplomatiche agli attriti che dividono gli Stati e i Popoli.

All'Onu si discorre di problemi certamente assai interessanti, ma nello stesso tempo a Washington, a Londra, a Parigi e nelle appendici di queste capitali, a Roma, a Madrid, ad Atene, si allacciano negoziati di ben altra natura: alleanze militari, nelle quali noi ci rifiutiamo di ravvisare un elemento di consolidazione della pace.

L'Onu fallisce sul terreno stesso su cui fallì la Società delle Nazioni... La sicurezza che ogni Paese doveva trovare nell'ambito dell'Organizzazione delle Nazioni Unite la si cerca in sistemi di alleanze contrapposte o convergenti. (Nenni, intervento alla Camera contro il Patto di Bruxelles, 30/11/1948, pagg. 169-170)

Ora il cappio delle alleanze si è stretto intorno ai nostri colli. Clinton e Wesley Clark stanno per spaventare il cavallo che ci sorregge. Dissolvenza incrociata su Belgrado in fiamme, nella 314a ora di guerra, mentre speriamo che qualcuno spari alla corda, come in un vecchio film di Sergio Leone.

 

4-6 aprile 1999