Articolo per "Derive Approdi" n.5, in uscita nel primo semestre del 1995

 

LUTHER BLISSETT: LA LEGGENDA METROPOLITANA DI FINE MILLENNIO

di Luther Blissett

 

Quando qualcuno afferma che, di fronte alla tirannia nihilistica dello spettacolo, "una soluzione potrebbe essere quella di spararle ancora più grosse, grossissime, nella speranza che in questo vortice di panzane si verifichi un corto circuito della comunicazione, e il mondo virtuale torni a lasciare spazio a quello reale" (1), non dice in realtà nulla di nuovo. La stessa critica radicale all'ordine del mondo, nonché la possibilità di esercitarla, ci è stata garantita dai furfanti e dai buffoni di ieri, dai pirati "plagiaristi" dei secoli passati.

Nel medioevo il conflitto era analogo a quello odierno: alla Lingua dei poteri costituiti (lingua come Legge, Codice e identità), allo Stato (non a caso il participio passato dell'Essere, un tentativo di fermare un divenire), si opponevano le parole dello spiazzamento, i retrovirus della parodia, del plagio e della menzogna di resistenza che rimettevano in movimento la lingua vanificandone le codificazioni autoritarie. Fuori della "strada maestra" dell'alto romanzo cavalleresco, i generi epici minori (satire, canzonacce da trivio, preghiere blasfeme), praticati da saltimbanchi, vagabondi e malfattori, salvarono la contaminazione e la pluridiscorsività (l'attraversarsi e "scavarsi" reciproco delle lingue di tutte le professioni, i ceti e le classi).

Il Gargantua e Pantagruel di Rabelais (XVI secolo) deve a questa pratica dell'"allegro inganno" (2) la sua radicalità e carica sovversiva, che consiste nello "spezzare tutti i falsi legami gerarchici tra le cose e le idee, distruggere tutti gli strati ideali divisori tra di loro. È necessario liberare tutte le cose, permettere loro di entrare in libere unioni, proprie della loro natura, per quanto bizzarre queste unioni sembrino dal punto di vista dei legami tradizionali consueti. È necessario dare alle cose la possibilità di stare in contatto nella loro viva corporeità e nella loro varietà qualitativa. È necessario creare tra le cose e le idee nuovi vicinati che rispondano alla loro effettiva natura, porre accanto e unire ciò che è stato fallacemente diviso e allontanato e disgiungere ciò che è stato fallacemente avvicinato" (3). A monte, c'é uno "scetticismo radicale nella valutazione della parola diretta e di ogni serietà diretta, confinante con la negazione della possibilità di una parola diretta non falsa" (4). Rabelais, Villon e i loro anonimi predecessori non puntano i piedi cercando di spingere a forza la propria Verità nel mondo della menzogna diffusa, ma "circuiscono" la verità ufficiale, la smembrano dall'interno spingendo la sua logica fino al paradossale e al grottesco..

Oggi, assai similmente, si tratta di vanificare la stesura di una costituzione materiale in cui la comunicazione e l'intelligenza collettiva sono direttamente messe al lavoro per perpetuare un ordine societario basato sullo sfruttamento e sull'ecocidio. La lotta è ancora contro il Codice, per creare attraverso l'"allegro inganno" nuovi vicinati tra le cose (mettere in rete le diverse soggettività) e spezzare i vecchi legami gerarchici.

Come Franàois Rabelais, con la sua opera, rese evidente che il medioevo era finito e che nuovi rapporti sociali si stavano affermando contro la forza inerziale del vecchio mondo, così noi dobbiamo rendere evidente che il lavoro salariato è divenuto superfluo, che la legge del Valore non vale più, etc.

Ma non basta "sperare in un corto circuito", non serve attendere catartiche esplosioni: occorre invece costruire una scienza e una strategia dell'allegro inganno. Mi spiego: negli ultimi anni il movimento cyberpunk italiano (5) ha posto l'accento del dibattito teorico sul diritto all'informazione, sulla metafora dell'informazione come banca da scassinare in nome del pieno accesso ai dati e contro la loro segretezza. Giusto, ma la conferenza internazionale di Amsterdam sull'uso alternativo delle tecnologie (ICATA '89) aveva concluso anche che "ogni informazione è al contempo deformazione. Il diritto all'informazione è al contempo inseparabilmente legato al diritto alla deformazione, che appartiene al mondo intero [...] Bisognerebbe sovvertire i canali regolamentari e convenzionali grazie a détournements e a cambiamenti surrealisti degli avvenimenti al fine di produrre caos, rumore e spreco i quali, a loro volta, verranno considerati portatori di informazione" (6).

L'uso paradossale e provocatorio del termine "diritto" permetteva di mettere in crisi il linguaggio liberale, un po' come quando si usa l'espressione "sfera pubblica non-statale". In effetti, squarciando l'orizzonte liberaldemocratico in cui si è inscritto il dibattito sull'info-glasnost nell'epoca dei cybermedia, alcune realtà hanno lavorato, anziché sui miti di "nuove frontiere", proprio sulle interferenze e sui "coni d'ombra" prodotti dalla crescita quantitativa dell'informazione, sui disturbi psicochimici del corpo sociale e sulla necessaria provvisorietà dell'etica di chi - furfante e/o buffone del XI secolo - naviga sulle correnti di dati. Ad esempio, in Italia, è il caso dei Transmaniaci, autori di numerosi e anonimi "allegri inganni" ai danni dei media, il cui collettivo si "suicidò" nel 1993 per poter meglio infiltrare i canali informativi, lasciando che la transmaniacalità viaggiasse senza transmaniaci.

Nei meandri dell'informale NETWORK DEGLI EVENTI che queste équipes di sperimentatori vanno costruendo, si è teorizzato (e si va praticando) l'uso del multiple name, o nome collettivo. Si tratta di un efficace strumento per la guerriglia semiologica, fino a poco tempo fa utilizzato solo a fini artistici (o antiartistici, da Dada alla Mail Art via Fluxus).

Sebbene ci fossero già stati esempi di nomi collettivi (8), furono i Neoisti americani a perfezionarne l'uso. Il Neoismo era un movimento culturale influenzato dal futurismo, da Dada, da Fluxus e dalla Mail Art (9). Tutti i neosti si chiamavano Monty Cantsin, nome di una pop-star immaginaria (un'opera, più che "aperta", spalancata). Chiunque contattasse i neoisti era invitato a cambiare il proprio nome in Monty Cantsin, e ad incidere demo-tapes o cercare ingaggi nei locali come musicista. Si trattava di aggirare le gerarchie e i privilegi tipici dell'ambiente musicale, ridicolizzando le une e gli altri. Il nome di Cantsin viaggiava e creava curiosità (Cantsin era un artista pressoché ubiquo, capace di esibirsi la stessa sera in tre località distantissime tra loro, e le sue incisioni testimoniavano di un'incredibile poliedricità). In seguito qualunque musicista, anche il più scalcagnato, poteva presentarsi a un promoter come Monty Cantsin, e col credito del multiple name ("Monty Cantsin? Ma sì, ti ho già sentito nominare!") ottenere un ingaggio. Tra USA, Canada e Gran Bretagna, almeno un centinaio di persone usarono il nome collettivo tra il 1978 e il 1986, ma l'operazione non riuscì del tutto, lo strumento andava perfezionato (10).

Dopo la rottura tra i neoisti americani (troppo influenzati dal futurismo) e quelli britannici (che, grosso modo, si ispiravano a Fluxus e all'Internazionale Situazionista dei primi anni), fu la volta di Karen Eliot, artista virtuale. Nel Regno Unito, nella seconda metà degli anni '80, alcuni critici d'arte furono tratti in inganno dalla quantità e qualità di opere firmate dalla Eliot. Ma anche in questo caso si trattava di diverse decine di persone di ambo i sessi, che spesso senza conoscersi tra loro usavano il multiple name. Si arrivò al punto che al "Festival del plagiarismo" di Glasgow (1989), quasi tutte le opere, installazioni e performances erano di Karen Eliot.

Le potenzialità sovversive del multiple name non sono state sfruttate appieno fino all'avvio del Luther Blissett Project, nella primavera del 1994. Il nome collettivo, se usato fuori dalle piccole cerchie, lungo tutto il "bacino del lavoro immateriale", rappresenta una soluzione pratica ai problemi dell'identità, del rapporto tra singolarità e collettivo, della dialettica tra individuo e comunità. Tutti i discorsi di questi anni sulla necessità di una nomadologia, sulle "macchine di lotta" e sulla costruzione di situazioni si incarnano nella pratica del multiple name. Luther Blissett è un singolo, ma é anche una moltitudine: è soggettività decentrata e incompiuta che tende alla Gemeinwesen marxiana (letteralmente, la "comunanza"), e vi tende proprio in quanto singolarità. Luther Blissett, o chi per lui/lei, è la comunità dei differenti contenuta tutta in un solo, molteplice "-dividuo" (Cfr. Nietzsche, "Umano, troppo umano"). In questo modo viene scalzata l'assurda centralità dell'Io, è la fine del teatro borghese. E poi c'é uno specchiarsi nel vorticoso divenire delle cose del mondo, l'essere un tutt'uno con il mutamento, perché il nome collettivo è uno strumento elastico che non incatena a nessuna appartenenza ("È un po' troppo così? Quando esagero ditemelo subito che mi metto il naso da clown!", Beppe Grillo, 1993).

Blissett non è un artista come Cantsin ed Eliot: è un "terrorista culturale". Il Luther Blissett Project è stato avviato dal neoista inglese Harry Kipper (11). Nel mondo cablato e interconnesso degli anni '90, il multiple name è potuto arrivare in poco tempo in molti paesi. Il "Luther Blissett Manifesto", diffuso per vie telematiche e postali, afferma che è oggi possibile "navigare nelle situazioni in maniera intermediale e inaspettata. La necessità è quella di infettare tutti i networks a cui sia possibile accedere, introducendo nell'immaginario collettivo codici e pratiche destabilizzanti (come false religioni, pseudoculti, parascienze ed antifilosofie) e voci incontrollabili, così da provocare un gioioso malcontento, rivolta e guerra di classe. Luther Blissett emergerà come una sorta di 'grande vecchio' al centro di tutti i teoremi, i complotti, le cospirazioni e le leggende urbane". Hanno già aderito al progetto decine di mail-artisti, riviste underground, poeti, operatori del virtuale, performers e collettivi di squatters di alcune tra le principali città europee e nordamericane. Pubblicazioni, video, sabotaggi, performances, manifestazioni, trasmissioni radiofoniche di e su Luther Blissett stanno diffondendo il multiple name in tutto il mondo. Anonimi hanno costruito al computer uno dei possibili volti di Blissett e lo hanno spedito nel cyberspazio, al fine di trasformarlo in una grande icona pop, come il Che Guevara di Korda o la Marilyn di Andy Warhol. L'evoluzione del progetto è del tutto imprevedibile.

Luther Blissett sta agendo anche in Italia, ma la semplice elencazione delle (pur innumerevoli) situazioni costruite non renderebbe giustizia al clima di entusiasmo in cui procede questo "allegro inganno" transnazionale.

Nelle metropoli postfordiste (spazio reso liscio dal tempo reale, ma proprio per questo teatro di una guerra civile strisciante tra contrapposte identità), il multiple name assume le caratteristiche di una deriva fisica e semantica, psicogeografica. È inutile difendere le "città dei gitani" dall'irrompere di una Guardia Civil immateriale che "dove passa ordina silenzi di gomma oscura / e paure di fine arena". La Guardia Civil "passa, se vuole passare / e nasconde nella testa una vaga fisionomia / di pistole inconcrete" (Federico Garcia Lorca). Occorre toglierle l'erba sotto i piedi, scalzare i presupposti psicochimici del suo prosperare.
Quando Luther Blissett si muove, è ben difficile che i media riconducano le sue azioni ad una interpretazione ufficiale, non si può imbrigliarlo né descriverlo nel suo divenire globale, perché è ubiquo/a, é "rapida anche da fermo", fà la linea e non il punto. È un wo/man-gemeinwesen. Nemmeno la brevettazione del multiple name (la sua trasformazione in trademark) garantirebbe il recupero di questa pratica, perché è una pratica incontrollabile e, perdìo, rizomatica (che importa se il termine è démodé?). In questo senso Luther Blissett rappresenta la potenza della comunicazione e dell'intelligenza collettiva, e non c'é copyright che tenga.

Quale migliore conclusione dell'invito, rivolto a chi legge, a DIVENIRE LUTHER BLISSETT?

 

 

NOTE

1. Intervista di Filippo Bianchi a Paul Virilio, da "Il Manifesto" del 25/6/1994, citata in: Nando Vitale, Telefascismo. Cybermedia e informazione totale nell'era Berlusconi, Datanews, Roma 1994.

2. "Alla menzogna patetica di tutti i generi alti, ufficiali, canonizzati [...] si contrappone non la verità patetica e diretta, ma l'allegro e intelligente inganno come giustificata menzogna ai mentitori. Alle lingue dei preti e dei monaci, dei re e dei signori, dei cavalieri e dei ricchi cittadini, dei dotti e dei giuristi, alle lingue di tutti i potenti e ben piazzati nella vita si contrappone la lingua dell'allegro furfante", da "La parola nel romanzo", in: Michail Bachtin, Estetica e romanzo, Einaudi, Torino 1979.

3. da "Le forme del tempo e del cronotopo nel romanzo", in: Michail Bachtin, op. cit.

4. da "La parola nel romanzo", ibidem.

5. per una critica del recupero spettacolare del cyberpunk in Italia, cfr. il file ELLAGURU.ZIP ("Killing Technology. Tra Apocalisse e mito dell'Età dell'Oro"), immesso nella rete telematica ECN nell'estate 1992 (modem: ECN Bologna - 051/520986; ECN Milano - 02/2840243; ECN Torino - 011/6507540; ECN Padova - 049/8756112; ECN Roma - 06/4467100; ECN Brescia - 030/45670; poli attivi 24 ore su 24, a 1200-14400 baud).

6. dalla "Dichiarazione finale dell'ICATA 89", in Antologia Cyberpunk, a cura di Raffaele Scelsi, ShaKe, Milano 1990.

7. Cfr. Roberto Bui, Transmaniacalità e situazionauti, Synergon, Bologna 1994. Cfr. anche l'area files "TRANSMANIACON" sulle BBS "Cybersex" di Bologna (051/555355, su Telefinder-Macintosh ma accessibile con qualunque software emulazione di terminale, 1200-14400 baud) ed ECN Milano. Per contatti (indiretti...), scrivere a: LUTHER BLISSETT, c/o F. Guglielmi, casella postale 744, 40100 Bologna centrale.

8. Cfr. Stewart Home, The Assault On Culture, AK Press, Edinburgh, UK 1991. I due capitoli su nomi collettivi e neoismo sono tradotti in italiano e disponibili nella rete ECN, su Cybersex BBS, su AvANa BBS (06/2574110) e su Malcolm X BBS (06/7808256).

9. Cfr. Stewart Home, op. cit.e, sempre di Stewart Home, Neoist Manifestos, AK Press, Edinburgh 1991. La traduzione integrale di questi manifesti è disponibile sui BBS di cui alle note precedenti.

10. Cfr. Stewart Home, The Festival of Plagiarism, Unpopular Books, London 1990.

11. "I Sex Pistols avevano suonato in maggio al dipartimento di Belle Arti di Reading, avendo come spalla i Kipper Kids, un duo di performers (entrambi di nome Harry) che presentava un allestimento intitolato 'The Boxing Match'. 'La performance consisteva nella presenza di un giudice e di un arbitro', dice Genesis P-Orridge. 'Il succo era che l'Harry pugile avesse i guantoni e combattesse contro sé stesso. Doveva così colpirsi coi pugni in faccia più forte che poteva. Siccome l'esibizione non terminava finché il pugile Harry Kipper non finiva al tappeto, lo spettacolo era molto sanguinario". Da: Jon Savage, Punk! I Sex Pistols e il Rock inglese in rivolta, Arcana, Milano 1994. Kipper ha "rubato" il nome "Luther Blissett" al centravanti di origine giamaicana che, dopo un'ottima stagione nel Watford (27 goals segnati), venne comprato dal Milan per la stagione 1983-84. Il suo rendimento, causa problemi di ambientazione, calò disastrosamente, ed egli dovette lasciare l'Italia l'anno successivo.