Da "Alias" (supplemento a Il Manifesto) del 24 aprile 1999:

RANDAGI HACKER ANABATTISTI

"Q", la generazione web di fronte alla storia "grande e terribile"

 

di Paolo Cassetta

C'è ancora spazio per la storia "grande e terribile" nel romanzo contemporaneo? C'è la possibilità di parlarne *esplicitamente* (e di rivendicarlo con orgoglio) senza riproporre la psicologia degli eroi di Malraux, o la condanna della Morante verso il mondo della Guerra e degli Uomini? L'autore di Q (Einaudi "Stile libero", pp. 651, L.26.000) risponde di sì. E lo fa con uno sterminato romanzo ambientato nel Cinquecento europeo, in cui i protagonisti reali sono due: il mattatoio universale della Weltgeschichte e la coscienza disincantata del sovversivo contemporaneo, orfana di partiti e ideologie, ma nemica dello stagno del presente.

Q è infatti una "calda", benché calcolata, operazione di mitopoiesi. Che si snoda lungo quattro decenni del sedicesimo secolo, proponendo l'anonima e straordinaria odissea di un ex studente di teologia di Wittenberg, compagno di Muentzer nella guerra dei contadini del 1524-25, attivo nella repubblica anabattista di Muenster del 1534-35, impegnato in una colossale truffa ai danni dei banchieri Fugger fra il 1538 e il 1544, e coinvolto infine nei sussulti ereticali dell'Italia della Controriforma, dove la predicazione eterodossa si incrocia con le lotte per la successione a Paolo III, e dove la stampa di libri proibiti è un fattore dell'esito del Concilio di Trento e delle possibilità di riavvicinamento fra cattolici e luterani.

Uno scenario di ferro e di fuoco. E un teatro di passioni, dispute teologiche e atroci sconfitte, che oltretutto fa affiorare una domanda. Chi è Q? Chi è la spia che, con le sue false informazioni, ha condotto Thomas Muentzer al massacro di Frankenhausen e, con la sua infiltrazione nella città assediata, ha favorito il tracollo delirante delle repubblica di Muenster?

La storia non si riduce a complotto. Ma la storia è *anche* complotto, se è vero che Q agisce per conto del cardinale Gian Pietro Carafa (futuro Paolo IV) e che il "Grande Vecchio" del Sant'Uffizio appare come l'anima nera e quasi il burattinaio di un intero periodo storico. Il quadro allora si complica. C'è la genuina spinta escatologica di Muentzer e degli anabattisti del decennio successivo, ma c'è anche il gioco sottile di provoazioni e tranelli messi in atto da Q. C'è la rivoluzione che divora se stessa nell'avvitarsi finale della repubblica di Muenster, ma c'è anche l'elemento del caso e di uno scarto diverso e imponderabile che la Storia può prendere in qualsiasi momento. La sequela di metamordosi a cui il protagonista è costretto per restare fedele al suo destino e scoprire l'identità della spia, è allora l'atto più estremo di liberta nei confronti del poliedrico e inafferrabile disegno del potere. "La mente degli uomini compie strane evoluzioni e non esiste un piano che possa comprenderle tutte", si trova scritto nel finale del libro. Ma non diremo chi sarà a pronunciare queste parole. Un congegno narrativo ha pure i suoi diritti, e Q è romanzo che vuole e sa avvincere il lettore, promettendogli in ogni caso una soluzione inaspettata.

Le cose essenziali da sapere sul libro sono del resto ormai note. Si sa che dietro il multiple name di Luther Blissett c'è un giovane autore collettivo che ha lavorato duro sul XVI secolo, ossessionato tuttavia molto più da James Ellroy che dagli studi di Gastaldi sull'anabattismo o dalle ricerche di Cantimori sugli eretici italiani del Cinquecento. Si sa d'altra parte che intenzione degli autori era di opporsi al minimalismo psicologista imperante, e che, allo scopo, hanno voluto e saputo correre il rischio di una contaminazione di generi, sgradita forse ai palati più fini, ma egregiamente riuscita sul piano letterario. A questo punto, aprire il capitolo dei paragoni col Nome della rosa risulterebbe alquanto futile.

Più interessante, invece, è interrogarsi sul tema profondo del libro, che sembra il corpo a corpo con la Storia ingaggiato da una parte delle nuove generazioni, nel tentativo di fare i conti con un secolo (il nostro, non quello di Thomas Muentzer) il cui bilancio pare amarissimo e la cui memoria giace inconsolata.

È chiaro infatti che il Cinquecento di Q mette in forma un sentimento interessante e indicativo. La lotta di chi ci ha preceduto va rivendicata.

È lotta "nostra" ed è lotta nobile, a dispetto del carico di orrori, fanatismi e ingenuità, di cui si è rivestita per molteplici ragioni. Ma occorre "un bagaglio leggero". Occorre molta velocità e capacità di scarto. Occorre talvolta sedurre i potenti e in ogni caso non proseguire l'azione secondo un piano. Questo è il bilancio di Luther Blissett. Un fuck the power che può convincere o meno, ma che, nel romanzo, ha il merito di intrecciarsi con un'altra importante corrente emotiva: quella della difesa degli enrages di tutti i tempi, quella della rivendicazione persino provocatoria delle "mani sporche" e della colpa necessaria all'azione storica. Così, Muentzer trascolora in Robespierre e giunge a lambire il nostro passato recente. Batte un cuore hegeliano, in questi hacker della storia.

 


[Box su Nemici dello Stato:]

L'EMERGENZA DI LUTHER

"Preti guerriglieri, teologi dissidenti, maghi, santoni, satanisti. Quanti dovranno essere sepolti ancora perché si possa arrivare a noi?". Il "noi" include anche il Luther Blissett Project, autore di un'analisi su "criminali, mostri e leggi speciali nella società di controllo": Nemici dello Stato (Derive Approdi, pag. 281, L.28.000). Fra storia e politica, il volume va a caccia della madre di tutte le emergenze, che ha avuto il suo collaudo nel periodo "caldo" degli anni settanta e ancora incombe sulle "nuove devianze". Si comincia, naturalmente, con il "caso 7 aprile".
Seguono poi celebri affaires dimenticato (il caso Tortora e quello di Giuliano Naria, riconosciuti innocenti dopo parecchi anni di carcere), fino alle inchieste più recenti (i processi agli squatters, le "diffide" ai tifosi...). Obiettivo? Sparare sui meccanismi coercitivi, ma anche concentrarsi su quelli storici "del passaggio dalla società disciplinare alla società di controllo". E nel far questo, i ragazzi di Luther Blissett si dichiarano "molto poco postmoderni".