Il testo che segue è estremamente importante ai fini di una genealogia del multiple name 'Luther Blissett' e del suo mito fondativo. Se il ritrovamento in questione è vero, significa che in certi ambienti inglesi il nome 'Luther Blissett' era già in uso almeno 4-5 anni prima delle goleade dell'omonimo calciatore. Coincidenza? "Quando le coincidenze sono così esageratamente precise, come dovremmo chiamarle?", Charles H. Fort. Cos'hanno a che fare figure leggendarie come Harry Kipper, Coleman Healy o Karen Eliot con questo "Manifesto per la falsità nel design"? Misteri. Ad ogni modo, buona lettura!

 


Da "VIRUS" - Rivista di arte e schemi di contagio, n. 5, Milano, giugno 1995, sezione "Design", pagg.58-59:

I materiali che presentiamo documentano un momento poco noto della storia del design inglese. Il testo, "Manifesto for a Fake Design", firmato "Luther Blissett" (probabilmente un nome collettivo) è della fine degli anni Settanta (1976 o 1977), e venne diffuso negli ambienti del movimento studentesco della London School of Economics; perlomeno è lì che Antonio Caronia se lo procurò in uno dei suoi viaggi a Londra in quegli anni. Le foto provengono dall'archivio fotografico di Piero Lessio, che le fece a Londra nello stesso periodo, presso lo studio di John Prescott. Non possiamo essere più precisi, perché né il documento né le foto sono datate, e i ricordi di Lessio e di Caronia al riguardo sono molto vaghi (nel 1977 non si conoscevano neppure, e la coincidenza dei documenti è saltata fuori solo recentemente, durante una delle discussioni all'Atelier Gluck). Anche il legame tra il testo e la foto è largamente congetturale: solo la televisione e lo scaldabagno, infatti sono "firmati" da Luther Blissett. Tuttavia ci sentiamo di affermare che anche il portauova e la foto pubblicitaria della teiera, se proprio non sono opera delle stesse persone che hanno steso il manifesto, sono maturate in ambienti ad essi vicini, e rispecchiano comunque le tesi che sono lì esposte. Tutto il lavoro di questi Luther Blissett inglesi degli anni Settanta, anche se venato qua e là di accenti populisti e di rigidità dottrinarie, appare largamente ispirato alle teorie e alle pratiche situazioniste, e ha una straordinaria attualità, precorrendo riflessioni e tendenze tipiche di questi anni. Una ragione in più per presentarlo ai lettori di Virus.

Maria Gallo

 

LUTHER BLISSETT

MANIFESTO FOR A FAKE DESIGN

(Manifesto per la falsità nel design)

 

Si leggono un po' ovunque, in questi mesi, grandi piagnistei sulla difficoltà che incontra un design moderno a svilupparsi nel nostro paese; essi sono solo un esempio in più della miseria intellettuale e produttiva della Gran Bretagna, una miseria che dura da troppo tempo. Pennivendoli dei quotidiani economici, cosiddetti "critici", venditori di illusioni, ci propongono diversi modelli: da un lato la "solidità del collegamento con il mondo industriale" del design tedesco e francese, dall'altro l'inventività e il fervore creativo dei designers italiani. Né l'una né l'altra situazione ci possono entusiasmare. E non perché noi si debba andare particolarmente fieri della "specificità" del design inglese, cioé della dipendenza dalle esigenze del commercio più che della produzione, e del nostro marcato orientamento verso la grafica. Commercio o industria, industrial design o graphic design, è tutta la stessa spazzatura: e finché non avremo imparato a svincolarci dall'abbraccio mortale della logica dello spettacolo, neppure noi designers potremo vantarci di fare un lavoro interessante e creativo.

Il design deve liberarsi, una volta per tutte, dalla mefitica tradizione di Ruskin e Morris. Il loro stucchevole vagheggiamento di un medioevo falso e zuccheroso, mai esistito se non nella loro testa, non ha prodotto altro che lo snobismo filo-artigianale di Arts and Crafts, e più tardi la noiosa attività divulgativa del Council of Industrial Design e di quel bel tomo di Gordon Russell, o le banalità sull'"onesto e buon design" di Anthony Bertram. La strada per un vero rinnovamento del nostro lavoro è un'altra, e deve partire dal franco riconoscimento che un fenomeno di concentrazione, riflesso della ristrutturazione capitalistica, ha toccato anche il mondo del design. La nascita di grandi studi e agenzie di consulenza, come Pentagram, Fitch and Company e altri sta creando, come ha già fatto in America, uno strato di veri e propri "lavoratori del progetto", che sgobbano per poche sterline la settimana senza alcun controllo sulle scelte fondamentali e sul significato del proprio lavoro. La verità è che tutta l'attività del design, così come è teorizzata e praticata oggi, non è che un aspetto della divisione internazionale del lavoro e della oscena separazione dell'uomo in "produttore" e "consumatore", del suo tempo in "tempo di lavoro" e "tempo libero", zone separate ma tutte sottoposte alla logica dello stato spettacolare. E da questo stato di cose non ci libererà certo l'idealizzazione dell'antico artigianato, il tentativo impossibile di ridare dignità e spessore ad attività e figure sociali superate dallo sviluppo dell'industria e della tecnologia. Se presso di noi il programma dell'"oggetto di qualità" di Arts and Crafts ha avuto tanto successo, è solo perché esso è apparso l'unica alternativa alla miseria della produzione capitalistica e della cultura industriale. Ma quel programma non è affatto un'alternativa, è solo l'altra faccia della medaglia, una faccia che offre ai ricchi, a coloro che possono spendere, oggetti raffinati e "artistici", mentre ai proletari regala solo la visione da lontano di vetrine di lusso, e una nuova occasione di subordinazione culturale a una borghesia gretta e meschina.
In realtà siamo noi i primi a essere prigionieri di miti come la "fedeltà al materiale" o lo "scopo adeguato". Per liberarci da queste idee trite e ritrite non abbiamo che una strada: NEGARE LA NOSTRA FIGURA DI SACERDOTI DEL VALORE ESTETICO e funzionale dell'oggetto, smettere di spacciarci per DETENTORI DI UN SAPERE OGGETTIVO CHE GARANTISCE L'ONESTÀ DEL DESIGN O L'ADERENZA DELLA FORMA AL CONTENUTO. L'unica onestà che possiamo rivendicare è la liberazione delle energie creative del popolo, la valorizzazione della libertà e dell'inventività del consumatore. Sì, perché se questa società ci vuole scissi e divisi, se fa di tutto per renderci recettori passivi delle sue squallide attività spettacolari, è proprio sul terreno del consumo che questa logica può essere ribaltata.

BASTA CON IL CULTO DEI VALORI! ROVESCIAMO IL CONSUMO PASSIVO DI MASSA COL GIOCO DELLA CREAZIONE INDIVIDUALE! TUTTO IL POTERE ALL'UTENTE!

L'unica prospettiva seria e realistica per i designers oggi è praticare una progettazione obliqua, creare oggetti il più possibile "falsi", nel senso che rompano le usuali corrispondenze tra forma e contenuto. Non si possono creare forme nuove se non si creano contenuti, funzioni, abitudini sociali nuove. Restituiamo agli oggetti della produzione industriale il valore d'uso che hanno perso nel processo di mercificazione. Creiamo ibridi, mostri, oggetti polifunzionali. E soprattutto progettiamo oggetti la cui esistenza, la cui completa realizzazione, siano impossibili senza l'intervento del consumatore finale. Ridiamo senso, dignità, allegria al nostro lavoro sovvertendo la logica triste e rassegnata di questa società. Basta con la società di massa! Viva il design falso!

 

LUTHER BLISSETT (traduzione di ANTONIO CARONIA)

[legenda delle foto]

N.1. TELEVISORE-TOSTAPANE. La televisione è ormai diventata un oggetto che ci accompagna nelle attività più quotidiane. Invece di fare campagne moralistiche sulla sua nefasta influenza sui giovani, facciamone un oggetto utile, che svolga anche altre funzioni in cucina. Tanto, anche se è spenta, il pane si tosta lo stesso. (Prototipo. Progetto di Luther Blissett). (Foto di Piero Lessio)

N.2. SCALDABAGNO CUSTOMIZZATO. Gli scaldabagni sono oggetti squallidi e tristi. Sarebbe quindi meglio decorarli. Ma ognuno ha (per fortuna) gusti diversi. Perciò essi dovrebbero essere venduti con dei set da decorazione differenti, in modo che ognuno possa scegliere quello che più gli piace (o, meglio ancora, se lo faccia per conto suo). (Progetto di Luther Blissett).(foto di Piero Lessio).

N.3. FOTO PER CAMPAGNA PUBBLICITARIA DI UNA BANCA DELLO SPERMA. Una istituzione nuova e inquietante per i più, come una banca dello sperma, per essere promossa ha bisogno di essere associata a qualcosa di rassicurante. E cosa c'è di meno trasgressivo del té, bevanda nazionale legata al nostro passato imperiale? (Progetto di John Prescott. Non risulta che la foto sia mai stata usata per nessuna campagna promozionale).

N.4. PORTAUOVO IPERBOLOIDALE. L'iperboloide di rotazione è uno dei possibili modelli della geometria non-euclidea di Lobacevskij. Sull'uovo si può invece rappresentare un'altra geometria non-euclidea, quella di Riemann. L'uso di questo oggetto come portauovo (anche se originariamente era stato concepito come lampadario) serve a segnalare che il bisogno di rinnovamento tocca anche i fondamenti geometrici della nostra vita. (Foto di Piero Lessio)