8. Cosacchi e guardie svizzere

 

Il cattolicesimo è molto più di una religione. E' una potenza politica.
Oliver Cromwell

La lunga esposizione delle strategie wojtyliane, anche se può aver dato l'impressione di debordare parecchio dai confini del discorso da cui si era partiti, era necessaria per fornire il quadro dentro il quale va a iscriversi l'azione della Chiesa cattolica nelle politiche emergenziali di fine millennio. Impossibile capire appieno queste ultime senza tenere conto del ruolo della Chiesa e senza sapere da dove nascono e come vanno interpretate le nuove crociate.
Da un certo punto di vista infatti ci si potrebbe limitare ad affermare che l'attacco clericale alla modernità e alla "degenerazione dei costumi" è qualcosa di scontato che non necessita di ulteriori spiegazioni. Ma crediamo di aver dimostrato che in ballo c'è ben altro che l'isterico predicozzo di qualche prete. Ci troviamo in presenza di un'offensiva su larga scala e di una strategia che riesce a collegare il molare e il molecolare, appropriandosi di strumenti d'analisi di matrice "materialistica" e riuscendo a volgerli nella direzione più vantaggiosa alla politica vaticana.
Negli ultimi dieci anni, in Italia, le ripercussioni locali delle strategie mondiali di Wojtyla hanno assunto aspetti peculiari, data l'anomalia che i rapporti Chiesa-Stato rappresentano in questo paese.
Dopo il crollo del modello socialista est-europeo, dopo la conseguente ristrutturazione del Pci e il ricambio dei vertici politici (leggi smembramento della Democrazia Cristiana) reso necessario da Tangentopoli, la Chiesa è dovuta scendere in campo "personalmente", per gestire i propri interessi e immettersi a viva forza nella politica del paese. Se infatti per cinquant'anni il Vaticano ha potuto contare sui democristiani per tutelare il proprio privilegio rispetto allo stato e alle altre confessioni, con la sparizione del partito-chiesa esso ha perso il suo primo referente politico; quanto ai cattolici, hanno perso il loro contenitore prediletto e si sono suddivisi lungo tutto l'arco partitico, senza perdere i posti chiave dirigenziali, ma certo liberando il campo dal moloch ecumenico che per tanto tempo era riuscito a tenerli uniti. La Dc si è dissolta per ricomparire in tutti gli schieramenti sotto forma di correnti o micro-partiti, in grado di determinare - in un sistema elettorale già pseudo-maggioritario - le politiche dei due poli di maggioranza.
Il passaggio era obbligato: lo stato post-moderno, "leggero" e sempre più ridotto ai soli compiti fiscali e polizieschi, può essere condizionato da piccoli contingenti strategicamente schierati. Tuttavia il progressivo assenteismo dello stato libera intere "nicchie" sociali, abbandonandole a se stesse, ovvero, in Italia, alla colonizzazione clericale. La Chiesa di Wojtyla, anche sul piano nazionale, si può proporre come forza di supplenza dello stato, laddove quest'ultimo vuole "alleggerirsi" degli oneri sociali. E dato che niente si dà per niente, è ovvio che la Chiesa pretende qualcosa in cambio.
L'arretramento dei "laici" e delle forze della sinistra storicamente atee a cui abbiamo assistito in questa fine secolo, non è dunque solo dovuto ad esigenze strategiche (contendersi l'assenso politico delle masse cattoliche e dei determinanti partiti cattolici), ma anche alla necessità di "scaricare" su qualcuno le responsabilità sociali che i governi di centro-sinistra non sono più disposti ad assumersi. L'ascesa al governo dell'ex-Pci insieme ai cattolici cosiddetti "sociali" è stata l'occasione più ghiotta per la Chiesa di alzare la voce e pretendere per sé un ruolo chiave nella società. La sinistra è stata ben contenta di lasciarle tale ruolo.
Da questo punto di vista il bagaglio culturale e politico dell'ex-Pci ha immensamente favorito il Vaticano, perché la celeberrima strategia togliattiana dell'incontro con le masse cattoliche, unita all'imprinting ecumenico stalinista, ha impedito ab origine il radicamento di un pensiero propriamente laico nel più forte partito della sinistra italiana (basti pensare che né la lotta per il divorzio, né quella per l'aborto sono state avviate dal Pci). La sistematica emarginazione del dissenso a sinistra, la delazione calunniosa dei movimenti extra-parlamentari, l'invocazione della repressione poliziesca e la caccia all'untore "autonomo", perpetrate dal Pci-Pds-Ds in tutta la sua storia, sono la dimostrazione di quanti difensori del libero pensiero abitino la sinistra istituzionale. Questo si unisca al buon vecchio moralismo lavorista e all'etica del "lavoro come forma di affrancamento" dell'uomo (e non già di sfruttamento o autosfruttamento), e il gioco è fatto. Quello che si ottiene è un mix formidabile tra Stachanov e Mosé.
Non meraviglia dunque che con una leggerezza irresponsabile (per non dire criminale) la sinistra istituzionale si sia dimenticata rapidamente della storia d'Italia più recente: dalla "Vandea" napoletana del 1799 alla repressione della Repubblica Romana cinquant'anni dopo, dalla breccia di Porta Pia alla scomunica dei marxisti, solo per attenersi ai manuali. Ciò che è andato perso è la consapevolezza che ogni concessione della Chiesa, dal 1789 in avanti, è stata ottenuta con la forza delle armi, cannoneggiando (anche letteralmente) il Vaticano.
D'altra parte, in Italia non è mai esistito un partito liberale propriamente laico che sviluppasse un pensiero autonomo dalla cultura cattolica dominante: come ben si sa questo paese non ha conosciuto una borghesia con il coraggio delle proprie idee, in grado di rinunciare al clientelismo clericale e alla genuflessione elettorale e culturale davanti alla Chiesa. Di conseguenza il Pci ha potuto improntare l'immaginario della sinistra e più in generale del mondo laico a propria immagine e somiglianza, senza il contraltare di una forza politica che lo pungolasse sulla difesa di un'idea laica dello stato. Un esempio tra tutti: il Pci ha lasciato che fosse uno come Craxi a imporre la revisione dei Patti Lateranensi del 1929 e a ridimensionare il privilegio cattolico sul piano istituzionale. Il Pci non ha avuto meriti in quell'occasione, se non in qualità di forza d'appoggio all'iniziativa di un "socialista", passato poi alla storia per ben altri "meriti".
Connivenza culturale e politica fanno già un fronte compatto, duro da scalfire. E' in questo scenario che prendono vita le emergenze di fine millennio. Emergenze che appunto, rispetto ai decenni scorsi, si spostano dal piano pubblico-politico a quello privato, personale e soprattutto etico, col beneplacito della sinistra istituzionale. E dal momento che un'emergenza non è mai altro che un mezzo per guadagnare terreno e perseguire scopi determinati, la Chiesa non perde tempo per cavalcare la tigre del panico morale e dell'isteria collettiva, orchestrata sapientemente per sfondare le ultime resistenze laiche al suo dilagare nella società.
Una prima osservazione sotto gli occhi di tutti. Da qualche anno a questa parte non esiste problema sociale - disoccupazione, tossicodipendenza, immigrazione -, ma anche culturale - trend giovanili, bioetica, istruzione, mass media -, che non veda chiamato in causa in qualità di opinionista un rappresentante della Chiesa. Non c'è trasmissione televisiva, pubblica o privata, dibattito giornalistico o tavola rotonda che non abbia tra i suoi ospiti un più o meno "autorevole" esponente della gerarchia cattolica. Dal piccolo prete di periferia che raccoglie tossici e prostitute, al vescovo cardinale che inveisce contro l'aborto, dalle suore che cantano il rap, al frate prestigiatore, tutti i gradi dell'apparato ecclesiastico trovano spazio a volontà nei dibattiti mediatici.
Siccome i laici non hanno più ideologie a cui rimettersi e gli intellettuali "nun ce stanno a capì più un cazzo" (Virzì, Ferie d'agosto), si appoggiano all'ideologia suprema, quella religiosa e in particolare quella cattolica romana, che può ancora fornire un punto di vista forte, ovvero autoritario e dogmatico, sul mondo, e dispensare tranquillità: i preti sono lì, possiamo sempre fare affidamento su di loro, che si condivida o meno il loro punto di vista, bisogna comunque ascoltarli... Si nota una forma di malcelata riverenza nei confronti degli abiti talari, soprattutto da parte dei supposti laici di sinistra, come se si riproducesse, dopo due secoli di mazzate ai preti, una sorta di timore reverenziale verso la figura del sacerdote, colui che ancora detiene e può concedere la sicurezza di un'opinione strenuamente sostenuta. La deferenza muta quasi in ammirazione per uomini e donne che hanno il coraggio di sostenere ancora qualcosa con decisione, che hanno il potere taumaturgico di imporsi (e imporre) degli imperativi, di rinunciare al godimento della vita e toccare la merda con le mani. Tutto il vecchio manicheismo puritano della sinistra storica viene splendidamente alla luce.
Ma tutto questo si allaccia al problema pratico dei partiti di sinistra al governo. Esso nasce dal fatto che questi poggiano ancora il consenso ottenuto dal basso sulla trama costruita dal vecchio partito comunista: connivenza con i vertici sindacali, controllo delle associazioni studentesche, alleanza con i cattolici di base impegnati nel sociale. Ma sul piano dell'immagine sono carenti di una legittimazione: non propongono più alcuna alternativa al dato, ma semplicemente un modello di gestione apparentemente "migliore", almeno fino a quando l'apocalisse sociale non avrà spazzato via tutti. A un partito non più di classe, ma cosiddetto "d'opinione", serve dunque una nuova spina dorsale, prima che le vecchie cinghie di trasmissione cedano di fronte al dissesto sociale che avanza. Da questo punto di vista allora l'apertura al dialogo subalterno con la Chiesa può tornare utile per un make-up che duri nel tempo. Come si diceva: i preti sono autorevoli - anche quando rappano - e incutono sicurezza. E per di più sono disposti ad allearsi con lo stato nel ruolo di addetti alla gestione del disagio sociale, se solo lo stato saprà gratificarli a dovere. Ad esempio concedendo finanziamenti pubblici alle famiglie che intendono mandare i propri figli alle scuole cattoliche e lasciando che il papa (capo di uno stato straniero) intervenga incondizionatamente a giudicare le leggi italiane, o a richiamare i deputati cattolici alla sudditanza ai dogmi religiosi (quindi alla gerarchia vaticana), prima che al loro buon senso politico.
Un'ultima scandalosa merce di scambio: il mantenimento dell'anomalia più indecente della scuola pubblica italiana. L'ora di religione, pagata dallo stato, ma insegnata da professori scelti dalle curie, dalle scuole elementari alle superiori. Uno sputo in faccia ai figli degli immigrati musulmani, taoisti, induisti, un ostacolo istituzionale alla multietnicità e soprattutto alla laicità e aconfessionalità dello stato. Il primo governo che include l'ex-Pci non ha migliorato di una virgola il compromesso raggiunto da Craxi negli anni Ottanta. E che dire dell'otto per mille? O della cessione di un canale satellitare da parte della Rai al Vaticano? O della copertura previdenziale data ai preti dall'Inps? Per non parlare dei finanziamenti degli enti locali alle iniziative clericali, tipo ostensione della Sindone, Concili Ecumenici e così via.
Ma su tutto valga l'ignobile carrozzone del Giubileo del 2000. Leggendo le cifre del Giubileo non si può trattenere il presentimento di trovarsi davanti a una tangentopoli annunciata, nonché a una delle più laute concessioni fatte alla Chiesa dallo stato, dall'unità d'Italia ad oggi. Parliamo di un regalo da 6000 miliardi di lire. Parliamo di soldi pubblici che finiscono nelle tasche vaticane per organizzare la più colossale autocelebrazione della storia (cfr. F. Carlizza, I conti in tasca, in "A", anno XXVIII, n° 8, novembre 1998, p. 17). Sarà un'occasione d'oro per speculatori, faccendieri e ricottari d'ogni ordine e grado per lucrare col grande affare della fede; e per la Chiesa si tratterà di una colossale parata in pompa magna.[1]

Verranno 16 milioni di pellegrini, girano migliaia di miliardi (la maggior parte pubblici) e tra appalti e merchandising ci sono sempre i soliti noti che provano ad intercettarli nelle proprie tasche. Pensate che ci sono più di quaranta marchi già depositati per prodotti dei più svariati generi e questo senza contare i marchi depositati presso le camere di commercio locali.
C'è chi fa il caffè con la miscela giubileo, chi gli orologi, chi le pipe, chi la pizza, chi gli occhiali e c'è anche chi proverà a far ubriacare i pellegrini con il vino del giubileo (ben tre diverse marche hanno chiesto la registrazione di questo nome). (F. Carlizza, op. cit., p. 16).

L'impatto ambientale di quei milioni lo sconteremo negli anni seguenti. I romani sono da considerarsi pressoché spacciati. La città sarà invasa, intasata all'inverosimile. Se le cifre previste sono affidabili, la capitale potrebbe dover ricevere oltre un milione di pellegrini al mese (ma sicuramente ci saranno delle punte in cui l'affluenza si concentrerà e quindi il numero salirà di un bel po'). Il consiglio più utile che si può dare a chi vive a Roma è di trasferirsi altrove per tutto il 2000 e subaffittare il proprio appartamento a peso d'oro ai pellegrini. Non sembra esserci altro modo per riappropriarsi di una parte dei soldi che ci vengono scippati dallo stato per conto del Vaticano. Viceversa si potrebbe gettarsi a capofitto nella mischia delle adunate oceaniche e alleggerire i pellegrini di portafogli e macchine fotografiche.
Ma possiamo star certi che non sarà soltanto Roma a subire l'impatto ambientale del Giubileo, perché la strada per l'Urbe è lunga e disseminata di siti d'interesse religioso: chiese, monasteri, reliquiari, tombe di santi, eccetera, eccetera... Un buon assaggio di apocalisse.

 

NOTE

1. Cfr. anche l'indispensabile libro di Alberto Ronchey Accadde a Roma nell'anno 2000, Garzanti, Milano 1998.

 

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