Seconda parte

1. La parentesi della modernità

 

In un mondo diviso, l'unità sovranazionale della Chiesa cattolica rimane una grande forza, rilevata a suo tempo dai suoi nemici e anche oggi presente alle varie istanze della politica e dell'organizzazione mondiale.
Karol Wojtyla

Nel 1523 saliva al soglio pontificio papa Adriano VI di Utrecht. Da quella data fino al 1978 non si sono più avuti papi "stranieri", ovvero non italiani. Quattro secoli: un arco di tempo che include l'intera "modernità": in termini di politica religiosa si va dalla grande epopea della Riforma e Controriforma fino al Concilio Vaticano II. Sono stati i quattro secoli durante i quali il pensiero occidentale si è progressivamente laicizzato, in cui le vecchie verità sono crollate lasciando spazio a nuove credenze, i sistemi politici occidentali si sono affrancati dalla teocrazia, il "razionalismo borghese" ha messo agli angoli l'autorità ecclesiastica, il Vaticano ha visto ridursi al minimo il proprio stato territoriale e la propria influenza politica sul piano internazionale.
Per Roma sono stati quattro secoli in ritirata, o forse dovremmo dire all'inseguimento di un mondo che è sembrato fuggire sempre più veloce e sempre più "avanti", decretando l'assoluta insufficienza della weltanschaung cattolica ai fini della comprensione delle cose. Un periodo di tempo durante il quale appunto i papi sono stati tutti italiani, perché tanto le questioni "di casa" quanto i rivolgimenti geo-politici planetari hanno fatto ripiegare la Chiesa su se stessa, sul proprio centro, Roma.
Alla fine degli anni Settanta qualcosa è cambiato e vedremo esattamente cosa. Ma prima è necessario chiarire come tutto questo ha a che fare con un libro sulla politica delle emergenze.
L'ultima parte di questo saggio si propone di capire proprio qual è il legame stretto tra quanto accade oggi in Italia, in Europa, e più in generale in tutto l'Occidente, e la grande Reconquista wojtyliana che ha appena compiuto i suoi primi vent'anni (e che proseguirà anche dopo che questo papa deciderà di morire). La nostra convinzione è che la Chiesa intenda approfittare della restaurazione politica in atto per realizzarne una culturale senza precedenti, in grado di minacciare de facto le libertà acquisite dal 1789 in avanti. La Chiesa appronta una colossale operazione di recupero della società, del senso comune - e quindi della politica - ai propri parametri di giudizio. Ci sono ancora buoni motivi per credere che questo non le riuscirà completamente, ma solo a condizione che la si contrasti nella consapevolezza del pericolo che rappresenta.
Uno dei grimaldelli che possono scardinare quanto è stato acquisito negli ultimi duecento anni passa per lo spiraglio delle nuove emergenze, orchestrate, montate ad hoc ed abilmente sfruttate dalla Chiesa, per spostare la responsabilità e la colpa su un piano sempre più "etico" e "privato", o meglio molecolare. La parte sostenuta dai rappresentanti di Dio nelle emergenze di fine millennio ci costringe a prendere in considerazione anche questo versante del problema. Vale a dire la Chiesa, le sue ristrutturazioni, le sue politiche, i cambiamenti, e soprattutto le armi di cui si è dotata per "salvarci da noi stessi".
Occorrerà partire dai fenomeni più macroscopici e scendere via via nel dettaglio, fino a inquadrare il ruolo che la Chiesa vuole ricoprire oggi nel mondo, nel sistema capitalistico globale e più specificamente nella piccola colonia del Vaticano in cui ci troviamo a vivere.
Si potrebbe cominciare con un'immagine forte che ha fatto il giro del mondo grazie a una copertura mediatica senza precedenti. Un vecchio e claudicante papa polacco officia la messa in Plaza de la Revolucion a La Havana. In prima fila il lider maximo Fidel Castro Ruz. Sullo sfondo le icone di Cristo e Che Guevara.
Da quella piazza e da quell'immagine partono i fili che cercheremo ora di ripercorrere nelle varie direzioni e che alla fine ci riporteranno al nostro tema principale.
Si fa oggi un gran parlare della svolta "pauperistica" e "sociale" operata da Giovanni Paolo II nella seconda metà del suo pontificato. E' sotto gli occhi di tutti che, dopo la sconfitta dei regimi "comunisti" dell'est Europa, il papa ha alzato la voce contro le nefandezze del neoliberismo, rieditando con forza il messaggio più schiettamente pauperistico del Vangelo. La Chiesa sembra schierarsi al fianco dei poveri, non più soltanto come apparato assistenziale, ma anche come forza spirituale e politica di critica allo sfruttamento sistematico a cui sono sottoposte le aree meridionali del pianeta. Non sono pochi quelli che plaudono a questa apparentemente radicale scelta di campo, evitando di andare più a fondo nell'analisi, di indagare dettagliatamente gli intenti e le parole, di leggere tra le righe della storia della Chiesa.
Non ci si può nemmeno trastullare con l'idea di una nuova chiesa sociale, o addirittura socialisteggiante, lasciandosi abbagliare dagli specchietti disposti lungo la strada per Roma. Significherebbe dimenticare il revanscismo wojtyliano nato nelle viscere della Chiesa polacca, l'attacco costantemente rinnovato all'autodeterminazione della donna, alle "diversità" sessuali, alla contraccezione e non da ultimo al razionalismo moderno.
Tantomeno è possibile credere che questo papa stia giocandosi le ultime carte rimastegli in mano per traghettare la Chiesa "finalmente" nel presente, rifacendosi un make-up sociale, per riguadagnare tutti i chilometri perduti. Occorre infatti fare chiarezza anche su questo equivoco grave, un pregiudizio progressista che permane, nonostante tutto, in molti rappresentanti della sinistra radicale, del movimento femminista, dell'intellettualità ancora lucida e viva in questa fine di millennio.
Ciò a cui la Chiesa cattolica romana ha dato avvio con il pontificato di Giovanni Paolo II non può essere scambiato per il colpo di coda di un'istituzione superata dai tempi, sopravvissuta a se stessa, abbarbicata in una guerra di difesa. Questo per due ordini di ragioni.
Innanzi tutto perché non esistono conquiste intoccabili, che non possano essere rimesse in discussione. Non v'è motivo di credere che la sorte che subiscono oggi le conquiste politiche e sociali della "modernità", non possa toccare anche alle conquiste giuridiche, etiche e culturali. Anzi, attenendosi alla teoria più ortodossa, i passi da gigante all'indietro dovranno riguardare presto o tardi anche questa sfera della vita. Infatti sta già accadendo.
In secondo luogo l'elasticità, l'ecumenismo e la sua natura onnivora fanno della Chiesa una delle sovrastrutture politiche più adatte ad attraversare questo tempo di apocalisse sociale, politica ed ecologica. La Chiesa è già sopravvissuta al crollo dell'Impero Romano, riuscendo a imporsi per quasi mille anni come unico referente dell'autorità territoriale e sovraterritoriale. La Chiesa ha traghettato l'Occidente dall'antichità alla modernità superando invasioni, guerre, lotte intestine, scismi e riforme. La Chiesa è ancora lì. E nel tempo in cui l'Occidente vacilla, annichilito dalla propria incapacità di offrire "soluzioni" al mondo, pozzo senza fondo dei consumi, dello sfruttamento; nel tempo in cui non soltanto la sinistra abbandona la nave che affonda della lotta di classe, ma tanto più il liberalismo implode sotto il peso delle proprie menzogne; in questo tempo, la Chiesa si erge nuovamente a unico faro morale e soprattutto sociale.
La Chiesa è disposta ad accollarsi, ancora una volta, come nel Medioevo, l'onere dei poveri, a farsene paladina di fronte alla disattenzione dei ricchi, a dar loro voce nei consessi internazionali, raccogliendo le elemosine, dividendo un lembo del mantello con gli ultimi della terra e rieducandoli alla sopportazione e alla pazienza. La Chiesa può fare dei poveri la propria forza d'urto contro il grasso mondo laico e liberista.
Soltanto la Chiesa può permettersi di allungare lo sguardo oltre l'apocalisse, nel prossimo millennio, per ricostituire una progettualità, un orizzonte. Nessun altro può farlo. Non i liberali, completamente ammutoliti e incapaci di prevedere cosa accadrà dopodomani. Non i brandelli sparsi della sinistra, che si incolonnano stancamente sul viale del tramonto.
Soltanto la Chiesa detiene un progetto intercontinentale di trasformazione del mondo. E ha tutte le intenzioni di portarlo a compimento. Non importa quanto tempo occorrerà, il tempo della Salvezza non si misura con la durata di una legislatura o di un buon trend borsistico; per recuperare il mondo c'è tempo fino al Giorno del Giudizio.
Ma torniamo ancora a quella piazza de La Havana.
Come si è giunti in questo luogo simbolico? Attraverso quali percorsi la Chiesa è riuscita a portare il papa più integralista del Novecento, quello che ha "sconfitto il comunismo" e benedetto la casa di Pinochet, nell'ultimo paese socialista del mondo a predicare contro il neoliberismo?
E' una storia lunga. Che comincia alla fine degli anni Settanta.

 

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